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Le città abitate dalle ombre, di Concita De Gregorio

Basterebbe allungare la mano passando in macchina accanto a via Veneto per sfiorare le camicie appese ad asciugare. Sarebbe sufficiente scendere le scale dei sottopassi vaticani, quelli costruiti per il Giubileo – sì, l’esultanza suprema – per trovare i gradini ingombri di cartoni, bottiglie, pentole ancora piene di cibo annerito sui fornelli da campo. Nel cuore di Roma, città eterna.
Sopra turisti in torpedone e miliardari in limousine, sotto – cinque metri più sotto, appena un po’ di lato – la città delle ombre. Abitata da un popolo che non ha niente, nemmeno un nome. Ci vogliono giorni per identificare i cadaveri carbonizzati. I due morti di ieri erano di origine somala, forse. C’è la testimonianza di due pugliesi, i loro vicini di cartone. «Secondo me gli hanno dato fuoco», dice uno di loro davanti alla telecamere che riprendono in primo piano il cumulo di carbone, pochi metri più indietro le auto che scendono veloci da villa Borghese.
A volte ai senza tetto qualcuno dà fuoco, in effetti. Un passatempo. E’ utile ascoltare la storia dell’uomo venuto dalla Puglia, un ragazzo italiano: era uno di noi, viveva nel mondo di sopra. La povertà lo ha preso alle spalle e l’ha rapito, lo ha portato sotto. Tra avere un lavoro e non avere più posto nel mondo è un attimo. Non importa da dove vieni, che lingua parli, di che colore hai la pelle: nella città delle ombre il destino è uguale per tutti. Puoi restare prigioniero di un cassonetto per abiti usati e morirci dentro, succede ogni settimana, a Padova e a Genova, a Roma, succede dove sei. Sui giornali diventi una breve di cronaca. Qualche volta c’è scritto che sei morto mentre rubavi i vestiti. Rubavi, nel cassonetto.
Nella Cloaca Massima, l’antica fogna all’altezza del Tevere, dormono a decine giovani che di giorno, non tutti ma molti, indossano il loro unico abito e vanno a fare i badanti, i camerieri al nero nei ristoranti e nelle case della città di sopra. Ogni tanto ne muore uno di freddo o di fuoco, ma non ha mai nome. I documenti sono un pericolo, si sa. Meglio così, direbbe quel vecchio politico: un mendicante di meno. Basta alzarsi il bavero e tirare diritto, che i ristoranti sono pieni e la miseria non c’è. Basta non guardare, accendere la tv e vedere cosa fa oggi Corona, basta dimenticarsi che i morti nel sottopasso sono uomini e chiamarli barboni, l’indomani radersi e uscire. Che ci vuole, è un attimo.
Da La Repubblica