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Il giurista globale e gli ideali d'Europa, di Giulio Napolitano

Joseph H.H. Weiler è un cittadino del mondo. E un giurista globale. Nato in Sud Africa e cresciuto in Israele, ha perfezionato la sua formazione in Europa, conseguendo il master a Cambridge e il dottorato a Fiesole. Qui Weiler ha iniziato la sua attività di insegnamento, prima di approdare sull’altro lato dell’Atlantico, dove oggi è titolare della cattedra di diritto internazionale alla New York University. L’amore per l’Europa e per l’Italia, tuttavia, lo hanno spinto a tornare a Fiesole per guidare dal prossimo settembre l’Istituto universitario europeo, in un periodo non facile per il nostro continente.
Gli studi sull’integrazione europea hanno scandito l’intera attività scientifica di Weiler, dall’inizio degli anni Ottanta fino ai giorni nostri, facendo subito emergere l’originalità della sua visione. È possibile ripercorrere l’itinerario intellettuale di Weiler, dividendo i suoi lavori in tre parti: gli studi dedicati alla genesi e alle trasformazioni dell’Europa; quelli rivolti alla ricostruzione teorica dei caratteri propri dell’ordinamento europeo; quelli diretti a individuare gli ideali del processo di integrazione e a denunciarne il rischio di smarrimento.
Negli studi «geologici» sulla complessa stratificazione della costruzione europea, Weiler utilizza come punto di partenza il teorema sulla voce e sull’uscita formulato da Hirschman, legando struttura giuridica e processo politico in una teoria dell’equilibrio istituzionale ancora oggi attuale. Weiler, in particolare, evidenzia l’apparente paradosso alle origini del successo dell’esperienza comunitaria. Da un punto di vista giuridico-normativo, la Comunità si è sviluppata grazie a una dinamica tipicamente sovranazionale. Ma, da un punto di vista politico, decisionale e procedurale, è prevalso un approccio intergovernativo. In questo modo, l’Europa è riuscita a diventare una comunità politica stabile, capace di conseguire un livello d’integrazione simile a quello degli Stati federali classici, senza tuttavia minacciare gli Stati membri, che si sono anzi rafforzati nel loro diritto di «voce».
Weiler, in secondo luogo, è stato tra i primi a evidenziare il carattere peculiare della Comunità, contrastando le interpretazioni restrittive offerte dalla scienza del diritto internazionale. L’Europa è riuscita a creare un suo peculiare modello di federalismo costituzionale, capace di salvaguardare l’identità degli Stati europei e nel contempo di limitarne il potere. La Costituzione non scritta dell’Europa si ispira al principio di tolleranza e prevede che i comandi giuridici siano dettati da un’entità complessa, composta da distinte comunità politiche.
La terza linea di indagine sviluppata da Weiler è quella dedicata agli ideali del processo di integrazione. Il progetto europeo, sin dalle origini, aveva un obiettivo morale: unire i popoli. L’unificazione economica tramite il diritto, in questa prospettiva, doveva costituire soltanto il primo passo. Qualsiasi comando giuridico, tuttavia, per essere rispettato, dovrebbe essere il risultato di un processo deliberativo democratico e osservare i diritti umani fondamentali. La Corte di giustizia si è fatta carico di questa seconda condizione, ma non della prima. Il deficit democratico si è così via via aggravato e il disegno spirituale dell’Europa unita è rimasto incompiuto.
Oggi l’Europa appare vittima del suo successo e del cambiamento del costume sociale. L’ordinamento europeo ha gradualmente trasformato i cittadini in consumatori di ricette economiche vincenti, piuttosto che in attori del processo politico sovranazionale, portatori di diritti di partecipazione e, insieme, di doveri di solidarietà. Per questa ragione, il malanno dell’Europa e la sua crisi «debitoria» non possono essere affrontati soltanto con accorgimenti istituzionali. La positiva evoluzione dell’ordinamento europeo sarà possibile soltanto con un cambiamento profondo della sua cultura politica e morale e la ripresa di un forte progetto ideale.

Da Il Corriere Della Sera