attualità, politica italiana

«Stampa e giustizia, cortocircuiti da evitare», di Marzio Breda

Lo scandalo Montepaschi è un nodo della vita pubblica italiana che lo preoccupa molto, perché rischia di avere ricadute gravi sul sistema economico e bancario, e davanti al quale non se l’è proprio sentita di assegnarsi il ruolo dello spettatore silenzioso.
Per questo giovedì ha deciso d’intervenire, Giorgio Napolitano, nonostante la campagna elettorale in corso. Per questo si è concesso un replay ieri, a costo di addentrarsi un’altra volta nel minatissimo terreno dei rapporti tra mass-media e magistratura. «Abbiamo spesso degli effetti non positivi, quasi dei cortocircuiti, tra informazione e giustizia», dice, evocando le «ricadute destabilizzanti sul mercato» provocate dalla recente «diffusione di notizie infondate».
Concrete «ricadute». Che il presidente della Repubblica, come tutti, ha verificato nei giorni scorsi, quando due giornali hanno annunciato con grande evidenza l’imminente sequestro di un miliardo e 200 milioni euro all’istituto senese. Il risultato lo si è visto su tre fronti: 1) caduta del titolo in borsa; 2) impennata dello spread; 3) destabilizzanti risonanze, anche sul piano politico, su scala internazionale. Solo che lo scoop era inventato, come ha subito fatto sapere, con una «deplorazione» formale, la Procura cui è affidata l’inchiesta. Insomma, ricorda il capo dello Stato, quella era una rivelazione fasulla, «totalmente infondata» e forse persino interessata. Non a caso, mentre già si è mossa la Consob, la stessa Procura toscana si è spinta a «ventilare provvedimenti per le ipotesi di aggiotaggio e insider trading».
Ecco il gioco perverso e la distorsione denunciati con i toni dell’appello da Napolitano. Il quale, se non ci fosse stato quel «richiamo piuttosto brusco» dei magistrati, non sarebbe intervenuto.
Il lavoro di chi fa informazione, ha spiegato ieri, ricevendo in un’udienza al Quirinale una delegazione dell’Ordine dei giornalisti, «tende ad avere il massimo di elementi per poter assolvere a un ruolo di propulsione alla ricerca della verità». Ma episodi come questo «cortocircuito» di illazioni dimostrano il pericolo che si confligga con la «riservatezza necessaria delle indagini giudiziarie e il rispetto del segreto d’indagine».
È un memorandum che lo induce a pesare le parole. Il presidente infatti sa bene di esporsi su «un problema delicato di una materia tutta delicata». Nella quale certe critiche potrebbero ritorcersi contro di lui, specie in una fase di ipersensibilità (politica e non solo) come quella che attraversiamo in questa vigilia di voto. In realtà non c’è da parte sua alcun intento di mettere il silenziatore ai giornalisti, come qualcuno recrimina, perché anzi ad essi compete un decisivo «ruolo e impulso per far luce su situazioni oscure e devianti». E tantomeno il suo intento è di frenare l’opera delle toghe, la cui «totale autonomia nelle indagini va rispettata anche evitando di dare notizie infondate». Per il capo dello Stato bisognerebbe che i diversi attori impegnati a far luce su questa ansiogena e imbarazzante vicenda fossero consapevoli di dover seguire uno schema binario: «fare chiarezza» sulla crisi del Monte, e nel contempo però «tutelare l’interesse nazionale». Che stavolta è parso davvero incrinato, soprattutto a causa di una rincorsa mediatica a suo avviso esasperatamente senza cautele.
Basta considerare la grandinata di accuse a Bankitalia. Eppure, ha detto Napolitano, i vertici di Palazzo Koch hanno «documentato minuziosamente di aver esercitato fin dall’inizio con il tradizionale rigore le funzioni di vigilanza nei limiti loro attribuiti dalla legge». Anzi, «la collaborazione» che la nostra banca centrale «ha prestato e presta senza riserve alla magistratura inquirente è garanzia di trasparenza per l’accertamento di tutte le responsabilità».
Un impegno che ci dovrebbe imporre di salvaguardarne la reputazione e che vale per la governance presente e passata. Anche per l’attuale capo della Bce, Mario Draghi, quindi. Il quale, in un gioco di rispecchiamenti mediatici, si è trovato bersaglio di ingiuste critiche dai giornali tedeschi.

Da Il Corriere della Sera