attualità, politica italiana

"Il paese e l'incubo del cavaliere", di Franco Cordero

Siccome mancano poche ore al voto, parliamo del revenant. Gli avvenimenti sollevano quesiti allarmanti. Diciannove anni fa godeva i favori della novità qualificandosi uomo d’impresa, moderno, liberale d’istinto, franco liberista, senza contare i buoni sentimenti, famiglia, patria, religione, contro i plumbei «comunisti». Qualcosa trapelava: l’irrimediabile volgarità, istrionismi, loquela d’un bugiardo cronico, senonché la politica italiana ha standard accoglienti; disponendo d’una macchina
monstre d’ipnosi pubblicitaria, inanella tre vittorie elettorali su avversari dalle idee confuse e litigiose. Quante risorse d’imbonitore abbia, consta dalla rimonta 2006, dopo cinque anni d’impudente governo a suo profitto. Ormai è partita a carte scoperte: la platea sa chi sia, incallito nella frode, falsario, corruttore, megalomane, negromante del plagio televisivo, statista da cabaret con effetti postribolari; nell’ultimo esperimento elettorale i milanesi gli voltano la schiena. Persino il Corriere della Sera usa parole dure. Costretto a dimettersi, lascia l’Italia in bolletta.
Tre mesi fa lo davano buonanima, anche a corte: quando s’è ricandidato, il commento era: «Torna la mummia»; ma appena chiama, scattano riflessi mercenari. Lo spirituale Angelino Alfano, designato erede (per gioco), aveva arrischiato fiochi mezzi dissensi: Sandro Bondi, poeta ex comunista, non glieli perdona; il penitente genuflesso lambisce la mano padronale. Venerdì 25 gennaio, nella convention al cinema Capranica, grida fedeltà sgranando gli occhi: non esiste Pdl senza B.; «sei tutti noi». Vero,
le cri du coeur è analisi storica. Il berlusconismo sta nel servizio liturgico reso al padrone: appena dica «gli asini volano », i caudatari levano gli occhi alle nuvole; don Luigi Verzè lo santificava; «santo puttaniere», esclama un ministro ma eloquenti parlamentari, cattolici professi, mettono la mano nel fuoco contro l’efferato gossip delle baiadere d’Arcore (lettera al Corriere, 22 gennaio 2011); hanno negli occhi un B. diverso; « credo quia absurdum»; nominano persino l’Imitatio Christi.
Ha tanti affari, anche penali, e la politica forzaitaliota consiste nel prestargli mano, qualunque cosa comandi, anche ridicola o vergognosa (ad esempio, lo proclamano convinto che Ruby fosse nipote del premier egiziano). Messo in riga il partito, passa agli elettori nel solito stile: recita e mima barzellette; ogni tanto prende pose mussoliniane. Domenica 27, giorno della Memoria, compare nella cerimonia, loda il Duce, racconta che le leggi etniche gli fossero imposte da Hitler: indi s’addormenta ed esibisce una maschera sinistra, masticando; non l’avevamo mai visto così alligatore, ma è peggio quando sorride charmeur.
Chi ha memoria buona ricorda il milione di posti promessi ai disoccupati. D’un colpo diventano quattro, e porta meraviglie nel piatto: opere pubbliche faraoniche, fisco catalettico, condono tombale, amnistia (ne ha gran bisogno), mai più imposte sulla casa, rimborso del già pagato; e punto capitale, privacy malaffaristica inviolabile, quindi corruzione rigogliosa; le tangenti sono categoria filosofica; la selezione naturale incorona i furbi. Sfidando bordate d’ilarità, Angelino Alfano cantava «il partito degli onesti». Insomma, rimane qual era, con l’anno in più, semmai ancora meno presentabile (vedi il film dove escute oscenamente una malcapitata, 10 febbraio). Ricco sfondato, gioca in stile «bru-bru» (bell’epiteto milanese). Tale la missiva con cui imbroglia gl’inermi annunciando il rimborso Imu.
Suicidio davanti all’obiettivo? No, le sonde lo danno in ascesa, tanto da preoccupare l’antagonista (posava bonario, ammiccando, quasi avesse già vinto), e chi guarda da fuori, stupito della commedia italiana, domanda come sia possibile. Gli ottimisti contavano che la discesa in campo dell’attuale premier, chiamato a terapie eroiche, aprisse la via a una destra pulita, postberlusconiana. L’operazione non ha inciso nella misura sperata: ricco da scoppiare, aveva condotto l’Italia a un capello dalla catastrofe; riapparso, miete consensi contro l’austerità. Dunque, è triste ma vero: esiste una borghesia anarcoide, ingorda, plebea, arrembante, parassitaria, gaglioffa, talmente corta d’intelletto da non vedere come la pirateria presupponga dei galeoni da predare e nella fattispecie il galeone sia la res publica, alla quale un malaffare vampiresco succhia sessanta miliardi l’anno. L’ideologia berlusconiana porta diritto alla bancarotta: l’abbiamo schivata in extremis; il paese affonda perché lo sviluppo economico richiede intelligenza e tensione morale. C’era un dottor Frankenstein a Palazzo Chigi, maestro in lobotomie cerebrali, e se vi torna, siamo alla mezzanotte del secolo. Affiorano radici ataviche. Essere seri rende poco da queste parti, vedi Giolitti malvisto perché non fa scena. Anche il ventennio nero era teatro: aquile, pugnali, fez, passo romano, salto nel cerchio di fuoco, e Mussolini in divise farsesche esibiva smorfie epilettiche nei film “Luce”, ma che fosse uomo politico, nessuno lo nega; cospicuo giornalista, elaborava disegni d’Italia imperiale, tra furberia e manicomio. All’Olonese importano solo i soldi, avendone accumulati in quantità colossale: anziché cannoni, palle incatenate, colubrine, pistole, sciabole, grappini, usa armi soft; froda, corrompe, istupidisce l’armento sotto maschera giuliva; ed essendo lucroso il servizio nel partito-ciurma, non manca mai la fila allo sportello degli arruolamenti.
Viene in mente un aneddoto dal diario d’Ulrich von Hassell, ex ambasciatore a Roma (cospirava e morrà impiccato, 8 settembre 1944). Domenica 18 dicembre 1938 visita Werner von Fritsch, ex comandante in capo dell’esercito, costretto a dimettersi su false accuse d’omosessualità fabbricate dalla Gestapo, ed ecco il senso del colloquio: che Adolf Hitler impersoni il destino della Germania; s’inabisserà trascinando tutti con sé. Re Lanterna non pare uomo da abisso e dovendo intanarsi, ha sotto mano tanti paradisi. «Quod Deus avertat» è latino facile; lo capiscono tutti: Iddio risparmi all’Italia la sventura d’una ricaduta in mani piratesche, perché stavolta l’effetto sarebbe indelebile.

La Repubblica 22.02.13