attualità, università | ricerca

"Scienza gratis per tutti le scoperte solo sul web", di Elena Dusi

«I cittadini americani devono poter accedere alle ricerche scientifiche che sono state portate avanti grazie al loro contributo ». Se un esperimento ha usufruito di soldi pubblici, non potrà più essere coperto da tariffe o abbonamenti. La decisione appena presa dalla Casa Bianca sembra un deciso passo avanti verso la libera circolazione della scienza. MA È ancora poco rispetto a quel che chiedono i ricercatori. L’accesso gratuito agli studi scientifici finanziati con le tasse degli americani avverrà infatti solo un anno dopo la pubblicazione. Per i primi 12 mesi gli esperimenti potranno essere letti a pagamento. Dal giorno successivo entrerà in vigore quel regime di libera circolazione delle scoperte che i ricercatori cominciano a chiedere con una voce che ormai assomiglia a un boato. In Europa un provvedimento simile a quella della Casa Bianca è stato preso l’anno scorso dalla Commissione ed entrerà in vigore gradualmente a partire dal 2016. Ma prima di arrivare alla decisione è stata necessaria una petizione firmata da 13mila scienziati che si sono impegnati al boicottaggio di una delle più esose fra le case editrici di riviste scientifiche.
La pressione dei ricercatori contro tariffe a volte decisamente sproporzionate (gli abbonamenti arrivano a 40mila dollari e quasi sempre le riviste non possono essere acquistate singolarmente, ma in pacchetti) sta diventando sempre più dirompente. Da un lato ci sono gli editori, aggrappati agli introiti degli abbonamenti e alle regole della proprietà intellettuale. Dall’altro gli scienziati sono desiderosi di scrivere e farsi leggere, firmano petizioni, fondano nuovi giornali ad accesso libero, stirano le regole del copyright e pubblicano i loro studi sulle pagine web personali o su siti internet senza barriere.
Quella per la libertà e la gratuità della scienza sta diventando una battaglia mondiale. La decisione di smantellare il muro delle tariffe — sia pure con 12 mesi di ritardo dalla pubblicazione — è stata presa dalla Casa Bianca a seguito di una petizione di 35mila cittadini. Le 19 agenzie federali che finanziano
la scienza Usa con almeno 100 milioni di dollari l’anno avranno tempo fino al 22 agosto per decidere come rendere pubblici gli esperimenti. Ogni anno, calcola l’ufficio della Casa Bianca specializzato nelle politiche per la scienza e la tecnologia, 180mila articoli scientifici potranno essere letti senza pagare. Un analogo provvedimento preso in Gran Bretagna nel 2012 diventerà efficace il
prossimo primo aprile.
Parallelamente alle decisioni ufficiali, cresce il lavoro di quelle riviste che dell’ “open access” fanno il loro ideale. Fra i pionieri ci fu, nel 2003, la prestigiosa “Public Library of Sciences” (nata sempre a seguito di una petizione, questa volta avviata da un buochimico di Stanford). Ieri dal suo sito la rivista cantava vittoria: “La decisione della Casa Bianca è il segno che il principio del libero
accesso si sta affermando con forza”. L’anno scorso, sull’onda della petizione europea dei 13mila scienziati, sono nati altri giornali liberi, fra cui “eLife”, finanziato dalla fondazione britannica Wellcome Trust.
Le riviste gratuite vivono grazie a istituzioni non profit (è il caso di eLife o delle case editrici universitarie), alla pubblicità o a un contributo che si aggira tra i 500 e i 3.500 dollari pagato dagli autori degli articoli. La comunità di fisici e matematici ha creato un proprio sito (www. arxiv. com) su cui ognuno è libero di pubblicare le proprie ricerche e di leggere le altrui. L’abitudine è ormai talmente consolidata da non essere nemmeno più osteggiata dalle case editrici. Su un totale di quasi due milioni di articoli scientifici pubblicati nel mondo ogni anno, uno su cinque oggi è gratuito. Il giro d’affari degli editori è ancora enorme: 10 miliardi di dollari, pagati in gran parte da università ed enti di ricerca per gli abbonamenti. Ma la scienza libera, con l’aiuto un po’ titubante anche dei governi, sembra destinata a guadagnare posizioni.

La Repubblica 28.02.13