attualità, politica italiana

"La lunga marcia nelle istituzioni", di Barbara Spinelli

Nessuno può dire di cosa parleranno Bersani e Grillo, se mai si parleranno. Tante voci, tante forze impaurite sono coalizzate contro questo tentativo – del tutto inedito, sgradito a chi resta appeso alle proprie abitudini – di immaginare non solo un’Italia ma un’Europa diversa, dove trovino spazio iniziative cittadine, proposte che circolano da anni nella società. Ad esempio, reddito di cittadinanza, leggi anti-corruzione, nuove definizioni del prodotto interno lordo, diritti civili non negoziati con la Chiesa. Sono le idee che un quarto degli italiani ha cercato in 5 Stelle. Non sappiamo se Bersani saprà udirle – e quanto sarà condizionato dalle riluttanze dentro il Pd – ma neppure sappiamo se Grillo e Casaleggio desiderino davvero farsi udire.
Quel che è certo, è che in queste ore comincia per il movimento di Grillo qualcosa che lui stesso non aveva previsto: comincia quella lunga marcia attraverso le istituzioni, che per forza porterà il M5S – forte ancor ieri della sua natura extraparlamentare – ad assumersi responsabilità nella Repubblica.
Di Lunga marcia attraverso le istituzioni parlò nel 1967 Rudi Dutschke, il leader degli extraparlamentari tedeschi che auspicava una democrazia diretta e che subì una campagna diffamatrice, ordita dall’editore Axel Springer, simile a quella inflitta oggi a Grillo. Ferito da una rivoltellata l’11 aprile ’68, Dutschke non si riprese più: morì nel ’79. Ma il suo appello a conquistare un’egemonia culturale (una sovranità discorsiva, disse) facendo leva sulle istituzioni mise radici: il partito dei Verdi, nato grazie a lui, fu l’approdo di quella marcia. Oggi siamo nel mezzo di una mutazione, i paesi industrializzati perdono forza e ricchezze, ma la sfida resta quella. Specie nel nostro continente, siamo immersi in una depressione da cui non usciremo senza radicali reinvenzioni, e la reinvenzione più grande riguarda l’Europa, che il ’68 ignorava. L’Europa quindi non dovrebbe essere uno degli argomenti trattati da Bersani o da chi proverà dopo di lui con 5 Stelle: è il punto decisivo, da cui tutto il resto discende. Il tema è schivato da Grillo, come dal Pd. L’idea-forza del suo Movimento è che di fronte all’impotenza degli Stati, i cittadini devono sollevarsi e dire: «Lo Stato siamo noi». Ma l’idea è troppo poco ambiziosa. Forse è venuta l’ora di mirare molto più in alto, e di affermare: «L’Europa siamo noi», cittadini inascoltati in casa e nell’Unione. Dobbiamo darci una vera costituzione europea, che inizi come quella americana: «Noi, il popolo….». Questo diceva l’appello di Daniel Cohn-Bendit e Ulrich Beck, il 3 maggio 2012 su Repubblica: se tanti s’indignano, se la crisi sgretola un’intera generazione, è perché «incombe una bancarotta degli Stati-nazione». L’Europa fatta dall’alto va riedificata dal basso. L’appello reclamava un «nuovo contratto fra Stati, Unione europea, strutture politiche nella società civile, mercato, previdenza sociale, sostenibilità ambientale».
Certamente ci sono, nelle 5 Stelle, avversari dell’Europa unita: considerata un’utopia, quando la sola chimera è la sovranità assoluta degli Stati. Ma essere scettici non è sinonimo di anti-europeismo. I federalisti stessi sono scettici, sull’Unione che non è all’altezza della crisi. Essere scettici – non contentarsi delle apparenze – è d’obbligo anche per chi esige oggi un’altra Europa. Per Martin Schulz, presidente del Parlamento europeo, il voto italiano segnala la voglia di rinnovare la politica, e un rifiuto dell’austerità e della mancanza di risposte europee: «L’Europa ha le sue responsabilità, non può permettersi di fare lo struzzo mettendo la testa sotto la sabbia. Deve chiedersi fino a che punto una strategia di solo rigore, senza forti misure per la crescita, abbia spinto in Italia a un voto di protesta» (Corriere, 1 marzo 2013).
La risposta non sarà il referendum di Grillo sull’euro: referendum online, riservato solo a chi padroneggia Internet (come superare il divario digitale fra chi accede e chi no, tra anziani e no?). Se M5S vuol marciare attraverso le istituzioni europee oltre che nazionali, non potrà fare a meno di pensare l’Unione da capo, come formidabile opportunità per recuperare la sovranità perduta dagli Stati-nazione. Non potrà non guardare la realtà: 6 Stati d’Europa sono di fatto «commissariati» dall’Unione e spesso dal Fondo monetario (Grecia, Irlanda, Spagna, Portogallo, Italia, Cipro). Non è lontano il giorno in cui anche l’Italia, con un debito pubblico non riducibile tagliando solo i costi della politica, dovrà rivolgersi al Fondo salva-Stati, e negoziare il Protocollo d’Intesa previsto dalle sue regole.
Di questo dovrebbe parlare Grillo con le controparti: che faremo, se avremo bisogno del Fondo? Come operare perché l’Unione si accolli parte dei debiti (un piano esiste già, elaborato in Germania: il cosiddetto Fondo di redenzione) e imbocchi finalmente la via di Hamilton, quando accelerò la nascita in America di un potere federale forte, con poteri impositivi e un proprio bilancio, e su questa base assunse i debiti di Stati stremati dalla guerra d’indipendenza? Lo fece perché il paese usciva da una guerra, è vero. Ma l’Europa traversa una guerra, oggi, tra Stati e mercati.
È utile ripercorrere il tracollo greco. Quando si trovò sull’orlo del default, il Premier Papandreou scelse come consigliere Tommaso Padoa-Schioppa, ex ministro dell’economia nel secondo governo Prodi, e Padoa-Schioppa suggerì questo: sarà inevitabile ridurre il debito, ma come condizione chiedete che l’Europa si dia i mezzi per ri-crescere e sostenervi. La formula era: «Agli Stati il rigore – all’Europa lo sviluppo». Papandreou divenne un pariah, quando su quest’idea volle indire un referendum.
Joseph Stiglitz, il premio Nobel, ha scritto che il male non è negli Stati, ma nell’Unione restata a metà strada: «L’austerità è una strategia anti-crescita ». L’Europa ha bisogno di un’unione bancaria vera, e di comuni risorse ben più consistenti del «minuscolo bilancio appena decurtato dagli avvocati dell’austerità». Grillo ammira Stiglitz. Ma per ascoltarlo non dovrà accettare di governare in qualche modo?
Si diceva nel ’68 che l’immaginazione era andata al potere. Oggi deve andare al potere anche in Europa, perché lì si deciderà quel che saremo. Si dovrà decidere la politica estera e di difesa, che non potrà più dipendere dagli Usa. Si deciderà l’impoverimento o la ripresa. I militanti M5S sono addestrati a pensare assieme il globale e il locale. Manca loro il cruciale anello europeo. Lo fa capire un articolo pubblicato su Eurobull.com dal federalista Antonio Longo: lo Stato-nazione «non offre oggi che briciole». Non basterà combattere la corruzione, per una nuova crescita sostenibile. Solo uno sviluppo europeo potrà controbilanciare le austerità nazionali, perché «garantirebbe costi complessivi più bassi, maggiore efficienza grazie alle economie di scala e benefici per tutti». Solo la Federazione salverà l’Italia.
Chiunque parlerà con Grillo avrà davanti a sé qualcuno che esecra i partiti, ma spesso guarda lontano. Grillo vede arrivare banche statali molto plausibili. Invita a scommettere tutto sulla ricerca scientifica (intervista a New Scientist, 27-2-13). Malandata com’è, l’Europa non è nel suo campo visivo. Vale la pena che la faccia entrare. L’occasione è ora. Se torneremo alle urne, l’Italia impaurita sceglierebbe la destra forgiata da Berlusconi. Stesso disastro con un governo tecnico appoggiato dal Pdl (un governo di partiti camuffati): sarebbe l’esplicito riconoscimento che il malcostume, la frode, la compravendita del consenso in Parlamento non sono un crimine. Convaliderebbe l’idea più che mai incongrua che i politici siano «tutti eguali », «tutti ladri». Potrebbe ferire a morte la nostra democrazia, e con essa la cittadinanza attiva voluta da Grillo.

La Repubblica 06.03.13