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"Il gap delle donne vale una busta paga", di Francesca Barbieri

Trentasei giorni di lavoro extra. Tanti ne servirebbero alle donne per riempire il gap in busta paga che le divide dai colleghi maschi nel settore dei servizi, quello più “rosa”, dove si concentra un terzo delle occupate. Segretarie, impiegate, assistenti, che nella realtà guadagnano l’11% meno degli uomini, secondo l’elaborazione del centro studi Red-Sintesi per Il Sole 24 Ore, che ha messo sotto la lente la retribuzione oraria netta. E ci sono rami di attività dove il vuoto da colmare è ancora più ampio: in agricoltura servono due mesi per arrivare alla parità, in banca e nelle compagnie assicurative 59 giorni, nella pubblica amministrazione 39. Più basso il gap nell’industria, anche se di poco, 33 giorni, molto di più rispetto ai 10 giorni del commercio e ai dodici delle attività immobiliari, o degli 8 di alberghi e ristoranti.
L’unico settore dove il match ha un punteggio invertito è l’edilizia: qui sono gli uomini che dovrebbero lavorare 23 giorni in più per raggiungere le “rivali”. La ragione? «Solo l’un per cento delle donne – risponde Catia Ventura, ricercatrice di Red – lavora nelle costruzioni, probabilmente in ruoli impiegatizi con paga superiore al semplice manovale, tipicamente maschio».
Il gender pay gap aumenta, poi, con il crescere dell’età e del titolo di studio. Se il divario in busta paga è nullo fino a 34 anni, dai 35 in poi esplode. Dai 35 ai 44 anni le donne dovrebbero lavorare 16 giorni in più per arrivare alla parità, mentre tra i 45 e i 54 anni la distanza sale a tre settimane.
Più istruite, ma non nei settori che contano: le donne, si sa, raggiungono i titoli di studio migliori e in tempi rapidi, ma le loro scelte scolastiche cadono su ambiti “femminili” e meno in quelli scientifici e tecnologici. «Decisioni – spiega Giovanna Vallanti, docente di economia alla Luiss di Roma – in parte indotte dalla necessità di conciliare la vita lavorativa e le esigenze familiari, che da una lato le induce a cercare lavoro in settori che garantiscono una maggior flessibilità e dall’altro incide pesantemente sulle chance di carriera». Tra le occupate si registra il 42,6% di diplomate (contro il 38,2% degli uomini) e il 22,4% di laureate (solo il 13,8% tra i maschi) e a faticare di più per conquistare la parità sono proprio queste ultime. Secondo l’elaborazione di Red-Sintesi il pay gap tra i “dottori” è all’8,3% (l’equivalente di 28 giorni di lavoro), più alto rispetto a quello registrato tra chi si ferma alla maturità (7% e 23 giorni). Restringendo l’obiettivo solo sui laureati, poi, emerge che mentre nelle materie umanistiche (dove si concentra il 32% delle lavoratrici laureate) sono gli uomini a dover lavorare 17 giorni extra per arrivare allo stesso stipendio, tra ingegneri e architetti, invece, la sparuta rappresentanza “rosa” (6%) registra un differenziale record, al 19,1%, con ben 72 giorni di handicap rispetto ai maschi.
A livello di qualifiche, poi, il gender pay gap è più marcato nei ruoli “intermedi” (lavori impiegatizi, assistenza, insegnamento), dove il gentil sesso ha maggior peso. Tra i dirigenti, ad esempio, dove si colloca appena l’1,5% delle lavoratrici, lo stipendio orario netto è pressoché equivalente (circa 16 euro), mentre tra gli impiegati (categoria che raggruppa oltre il 55% delle donne in attività), il dislivello è di oltre tre settimane. «Le donne che riescono a conquistare una posizione di rilievo nel mondo del lavoro – sottolinea Egidio Riva, ricercatore dell’università Cattolica di Milano – iniziano finalmente a vedere premiato il proprio capitale umano e professionale. Il tutto a vantaggio proprio, chiaramente, ma anche del sistema paese più in generale. E se consideriamo la scarsa generosità del sistema di welfare è probabile che il percorso verso la parità, quanto a opportunità professionali e salariali, passi attraverso rinunce molto pesanti negli altri ambiti di vita. Rinunce ancora più grandi di quelle richieste, di norma, agli uomini in carriera». In generale, infatti, le donne dedicano al lavoro meno tempo (32% part-time, contro il 7% dei maschi) e sono più restie allo straordinario: mamme acrobate che si dividono tra famiglia e ufficio, con una carriera professionale più discontinua e con un livello maggiore di contratti a termine (15% rispetto al 13% degli uomini).

Il Sole 24 Ore 29.04.13