attualità, politica italiana

"Il Parlamento deformato", di Gianluigi Pellegrino

Ogni giorno che resta in vita il Porcellum è un giorno rubato alla democrazia. Ora è scolpito anche in una decisione della Corte suprema di Cassazione emessa in nome del popolo italiano. Ma gli alti giudici, nel provvedimento anticipato ieri da Liana Milella, hanno detto persino di più. L’attuale Parlamento è deformato nella sua composizione da una norma che nelle ultime elezioni ha dato i suoi frutti più velenosi. Il Pd e Sel non solo hanno avuto alla Camera un premio di maggioranza abnorme, ottenendo il 55 per cento dei seggi pur bocciati da più di due italiani su tre, ma poi si sono anche separati sciogliendo quella coalizione che aveva permesso di accedere al premio.
Con Sel che è andata all’opposizione non condividendo un governo che forse è di necessità, ma certamente è in frontale contrasto con il voto chiesto agli elettori. Berlusconi dovrebbe lamentarsene se avesse minimamente a cuore non solo la democrazia ma anche il suo stesso partito. Ma lui pensa solo a se stesso e il Porcellum resta il sistema più funzionale alla sua strategia di breve, medio e lungo periodo anche per il salvacondotto che potrebbe ottenere nella prossima legislatura.
I giudici inoltre non limitano la censura al premio di maggioranza, ma sottolineano come si esponga all’incostituzionalità anche la parte più intollerabile per il senso comune, le liste bloccate. E condannano espressamente la modifica del sistema per collegio previsto nel Mattarellum che invece garantisce il rispetto della Costituzione: elezione dei parlamentari “libera” e “diretta” da parte dei cittadini.
La Cassazione evidenzia ancora (con un specifico passaggio della motivazione) che un parlamento cos ì deturpato nella sua composizione rischia di delegittimare anche la scelta delle autorità di garanzia che hanno funzioni e durata ben più ampie delle legislatura. La Corte ovviamente non cita condotte e circostanze ma il riferimento esplicito è alla elezione del Presidente della Repubblica, dei componenti della Consulta, del Csm e delle autorità indipendenti. Il Parlamento ha compiti troppo alti per poter continuare a convivere con vizi così clamorosi nella sua composizione, rifiutandosi pure di emendarli.
A questo punto non c’è più spazio per infingimenti e nemmeno per pezze a colori come quelle che ha da ultimo ipotizzato il governo dopo il ritiro in abbazia: e cioè limitare l’intervento urgente ad una minimale manutenzione del Porcellum inserendo semplicemente una soglia per il premio di maggioranza. Rinviando il resto a future riforme tutte di là da venire.
Sarebbe un grave arretramento persino rispetto agli impegni assunti da Letta nel suo discorso di insediamento. E oggi sarebbe una pecetta del tutto insufficiente anche a superare le obiezioni sollevate dalla Cassazione. Resteremmo clamorosamente esposti ad una censura della Consulta senza precedenti. Rinviare poi sarebbe insieme miope e in contrasto con specifiche direttive europee. Miope perché abrogare oggi il Porcellum darebbe al governo la legittimazione necessaria per poter fare quanto di difficile e utile serve, prima di tornare al voto. Al contrario sarebbe esiziale cedere alla tentazione di traccheggiare per tirare a campare.
Il Consiglio d’Europa del resto ha invitato espressamente a non cambiare le leggi elettorali troppo a ridosso del voto: rinviare ci esporrebbe così ad un’ulteriore censura comunitaria.
Per questo anche al Pd è chiesto qualcosa di più. Non basta proporre disegni di legge e poi farsi scudo del niet di Berlusconi, come avvenuto sullo scempio della concussione che in realtà andava bene a tutti. Deve pretendere, il Pd, che il governo ripristini subito il Mattarellum anche con decreto legge e con tanto di voto di fiducia. Subito, con la stessa forza con cui Berlusconi ha preteso l’intervento sull’Imu. Altrimenti i democratici facciano sul punto blocco con i grillini senza se e senza ma.
Non è una delle cose da fare. Ma la precondizione di agibilità democratica del paese e di credibilità minima di forze politiche che vogliano dimostrare di avere a cuore, almeno un po’, l’interesse nazionale. E, a ben vedere, anche la loro stessa sopravvivenza.

La Repubblica 18.05.13