attualità, politica italiana

"Quel sindaco circense tra pajata e parentopoli", di Filippo Ceccarelli

Alemanno uguale Aledanno. Ma per una volta, e con l’aiuto degli elettori, il danno è tutto per lui. O quasi. Si dirà: alla buon’ora! Troppi guasti paiono ormai difficilmente rimediabili, per Roma. Ma che almeno sia d’insegnamento ai romani, anche fuori tempo massimo, l’aver accordato fiducia a un politico rivelatosi tra i peggiori sindaci che la recente storia capitolina ricordi.
E adesso si avrebbe persino scrupolo ad assestare il classico calcio del somaro, guai ai vinti, ma gli scrupoli necessariamente si attenuano rispetto alla più colpevole mancanza di memoria, per cui i potenti dispongono di costosi apparati adibiti a «far credere» e nessuno ricorda nulla, soprattutto con quali slanci e aspettative cominciano le esperienze e le avventure del potere municipale, per cui Alemanno, da poco eletto, si consentì addirittura di proclamare, con cieca determinazione: «Siamo stanchi dei troppi cretini al comando». Anvedi.
Era il marzo del 2009, e aver visto il sindaco di notte alle prese con la possibile inondazione del Tevere, autenticamente preoccupato sotto la pioggia sui muraglioni del fiume, poteva perfino rendere innocente quella sua smaniosa e temeraria risolutezza. Ma guai a considerare la stupidità una categoria po-litica! E men che meno guadagnare voti sulle tragiche vicende della cronaca nera!
Così ora che Roma è vissuta da ciascuno come una città divenuta inesorabilmente violenta, e che il vertice dell’amministrazione pare guidato dalla più balorda e surreale inconcludenza, non solo si consuma la classica nemesi, ma finisce per suonare minaccioso il nome stesso della fondazione di Alemanno: «Nuova Italia» – e non sia mai, per carità. E acquista amaro, sarcastico rilievo, oltre a fare sintomatico cortocircuito con certe abitudini degli amici del sindaco, che in una delle ineluttabili sfilate in costume da antichi romani incoraggiate dall’amministrazione si segnali una «Legio Rapax», laddove la rapacità dei suddetti amici è sotto gli occhi di tutti.
Il problema, semmai, o meglio il paradosso, è che Parentopoli, Monnezzopoli e Ladropoli, con l’opportuno e anche vorace contributo di Fascistopoli, hanno messo in ombra o addirittura gettato nell’oblio la prima incredibile fase della epopea alemanniana, con un misto di furbizia e ingenuità incentratasi su una logica tipo panem et circenses di cui i rigatoni con Bossi a piazza Montecitorio e il sogno dei bolidi di Formula 1 all’Eur costituiscono gli esempi più rinomati nella loro fantasmagorica cialtroneria.
E non solo perché Alemanno ha poi rinnegato la pajata, anzi disse con eleganza: «Mi è andata di traverso, con la Lega neanche una bruschetta»; e anche il Gran Premio, con il dovuto indotto di speculazioni, andò a farsi benedire. A quel punto, ma sempre invano, il sindaco cercò di acchiappare le Olimpiadi; arrivando a promettere, nel caso le avesse ottenute, un pellegrinaggio a piedi alla Madonna del Divino Amore, già obiettivo di analoghe visite propiziatorie. E anche di questo toccherà purtroppo ricordarsi: dell’uso pervicace della religione – e della Chiesa e del suo ex Pontefice ancora di più – come strumento di consenso, per cui resoconto mediatico di estasi a Lourdes, baci di mano, benedizioni di atti comunali, inflazione di presepi (tre solo in casa), menu quaresimale nelle scuole, doni al pontefice (con impicci amministrativi) sbandieramenti vaticani, figurarsi.
E «i Valori» prima di tutto. Dio Patria e Famiglia come uno scudo piatto e insieme coloratissimo. Sennonché, come è noto, il potere acceca, e nella Città Eterna ancora di più, per cui a parte scegliersi come testimonial un prete poi accusato di pedofilia, un certo giorno (dedicato all’Aids) Alemanno, che pure come tutti è una creatura imperfetta, per non dire un medio peccatore, ebbe l’idea di raccomandare ai giovani la castità pre-matrimoniale, che può essere anche un’idea, ma non si capisce bene cosa c’entri con l’amministrazione di una città che tra assedio di caldarrostai e risse di centurioni andava visibilmente a pezzi.
E dunque: Alemanno, Aledanno, Retromanno (perché spesso cambiava idea) Alemagno (Alè, Magno! con gesto di forchetta che si arrotola), Malemagno (secondo Pietrangelo Buttafuoco) e anche Brancalemanno (per gentile concessione di
Dagospia).
Sta di fatto che «sbullonato» il veltronismo, almeno a livello culturale, se così si può dire, il sindaco ha finito per sostituirlo con un suo succedaneo, però virato a destra. Quindi, a parte l’ideona di far cucinare grandi chef per i senza tetto (ma il sindaco e i maggiorenti al piano di sopra), vanno ricordate sbronze di futurismo, mascherate militari, saggi ginnici, calcetto da spiaggia, svariati test antidroga, oltre a matrone, senatores e antiche macchine da guerra che alimentano gli ammortizzatori psicologici dell’eterno scetticismo romano.
Fino alla fine, allorché durante l’ultimo Natale di Roma, culminato con il lancio di paracadutisti con tanto di fumogeni sul Circo Massimo, è parso che anche dal cielo provenisse il segno dell’imminente caduta dell’ardimentosa e ridicola giunta Alemanno (numero 3 o 4), per cui a causa del vento uno dei volatori è finito su un tetto di via dei Cerchi e sono dovuti intervenire i vigili del fuoco a tirarlo giù.
Nel frattempo il sindaco ha scalato torri, spalato la neve, prodotto video di lui in moto, litigato con conduttori televisivi, cambiato un numero notevole di spin doctor, distribuito uova di Pasqua ai passanti, a riprova che la sovraesposizione è una scienza esatta e che la fantasmagoria a vuoto prima o poi presenta il conto.
Ma poi, o intanto, anche quelli che speravano che la destra, proprio perché incontaminata, si sarebbe tenuta più pura, si sono dovuti ricredere scoprendo che i post-fascisti, specie in difficoltà, non solo erano più famelici, ma per trarsi dai guai individuavano settori deboli della società per proclamarli nemici sociali e dargli addosso: e in questo senso forse da parte dei media e dell’opposizione si è detto troppo poco riguardo alla stolida e inutile campagna scatenata contro la prostituzione e contro i crudeli raid per distruggere i campi dei rom, costretti a gironzolare per la città ricostruendo gli accampamenti.
In compenso, Alemanno ha promesso: di abbattere la teca dell’Ara Pacis e di «radere al suolo» (da Cortina) Tor Bella Monaca, nonché di costruire due stadi, insediare il Parco Fluviale, la Disneyland della Romanità e, visto che c’era, anche un paio di isole a largo di Ostia. Di concluso, per la verità, resta solo la problematica statuona di Giovanni Paolo II, cui un giorno fu appeso il cartello: «Wojtyla, perdona Alemanno perché non sa quello che fa». A quattro anni dalla vittoria, più che una beffa, sembra un ragionevole punto di vista.

La Repubblica 28.05.13

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