attualità, cultura, scuola | formazione

"Se ai ragazzi insegnamo la diseducazione civica", di Benedetto Vertecchi

Premetto che considero l’educazione civica un aspetto dell’attività delle scuole al quale sarebbe necessario rivolgere un’attenzione ben più ampia di quanto il più delle volte accada. Ma, proprio per questo, mi chiedo se le condizioni politiche e sociali in cui la scuola opera siano le più favorevoli a costituire uno sfondo di riferimento. Non si può ignorare, infatti, che l’educazione civica, anche più di quanto non avvenga per altri aspetti dell’educazione scolastica, rischia di produrre effetti controproducenti nel profilo di bambini e ragazzi se la proposta di cui è portatrice si presenta contraddittoria rispetto alla sua traduzione empirica, ovvero al modo in cui determinati principi sono concretamente attuati, o inattuati, nell’esperienza quotidiana. In breve, non si può continuare a dire a bambini e ragazzi che la Repubblica è fondata sul lavoro, se poi non ci si preoccupa di superare le angosciose incertezze che segnano la condizione di vita di milioni di lavoratori o di giovani in cerca di occupazione. Non si può spargere moralità sociale se si consente che una parte consistente del reddito sfugga al prelievo fiscale. Non si può affermare l’uguaglianza dei cittadini se le leggi non sono uguali per tutti, e ce ne sono di formulate per un uso personale. Si potrebbe continuare, ma sarebbe inutile, perché si dovrebbe stilare un elenco noto a tutti. Inoltre, da un punto di vista educativo, sarebbe moralistico riproporre tale elenco senza tentare un’interpretazione che contenga anche un’ipotesi per il superamento dei limiti indicati. Quel che si deve valutare è se proporre principi manifestamente contraddetti dai comportamenti di individui o gruppi più o meno consistenti di cittadini non abbia come effetto la sostituzione dei principi politici e di convivenza civile che sono alla base dell’educazione civica con un insieme di valori empirici, volti a rendere legittimo un successo che consista nell’acquisizione di vantaggi personali. Non è questa un’interpretazione peregrina. Bambini e ragazzi sono sommersi di stimoli nei quali il messaggio più ricorrente è ottenere denaro o condizioni di favore col minimo sforzo, senza troppo guardare per il sottile sulle implicazioni che possono derivarne. Spesso il successo è associato all’apprezzamento di atteggiamenti mentali caratterizzati dalla ristrettezza dell’orizzonte interpretativo (in altre parole, dalla furbizia). Bambini e ragazzi non sono orientati a considerare il trascorrere del tempo (è sicuro che ciò che al momento appare un vantaggio per chi lo consegue continui a esserlo nel tempo?), e neanche le conseguenze sugli altri del vantaggio privato che riescono a conseguire. È una morale sociale centrata sull’avvelenamento dei pozzi quella che non fa considerare come i vantaggi da furbizia siano pagati da altri. Se l’intento dell’educazione civica è di creare una cultura comune di riferimento per ciò che riguarda i diritti e i doveri dei cittadini e le regole che disciplinano la vita sociale, bisogna prendere atto che tale intento non può che essere conseguito per l’effetto convergente dell’educazione formale assicurata dalla scuola (cui spetta di fornire gli elementi conoscitivi) e di quella informale, che si acquisisce attraverso le esperienze che si compiono, giorno dopo giorno, nelle famiglie, tramite le interazioni sociali, per effetto delle suggestioni esercitate dai sistemi di condizionamento prevalentemente attivi attraverso i mezzi per la comunicazione sociale. La scissione tra i principi della convivenza (quelli espressi dalla Costituzione) e i valori empirici ossessivamente enfatizzati come segni della capacità di affermazione individuale rappresenta una manifestazione non marginale della crisi che il nostro Paese (ma non è il solo) sta attraversando. Quel che in Italia è più grave è un effetto di mitridatizzazione, che sta minando la capacità di stabilire un rapporto corretto tra le aspirazioni e i comportamenti individuali e quelli sociali. C’è da chiedersi se, al momento, le proposte che la scuola rivolge attraverso l’educazione civica non siano percepite da bambini e ragazzi come una forma di ipocrisia. Certi principi possono apparire esibizioni esortative che la società adulta si guarda dall’accogliere. Un’educazione civica così praticata è un’offesa per la Costituzione: meglio sarebbe sospenderne l’insegnamento. L’alternativa a una simile amputazione consiste in un’assunzione collettiva di responsabilità: si può insegnare l’educazione civica se si contrasta la disoccupazione, se non si considerano furbi ma criminali gli evasori fiscali, se non si approvano (e neanche si propongono) leggi ad personam, se tutti fruiscono di un’istruzione di qualità elevata, se non si devasta il territorio e via seguitando. La scuola può rendere sistematico l’apprendimento, ma i valori sui quali si fonda l’educazione civica non possono che costituire il riflesso delle scelte prevalenti nella società.

L’Unità 30.05.13

2 Commenti

    I commenti sono chiusi.