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Quel Maggio «da chiudere», di Luca Del Fra

“Credo che l’intenzione sia chiudere il maggio musicale. Prima dell’estate probabilmente”. Parla pacatamente, la rappresentante del teatro fiorentino e le parole volano come pietre attraverso la grande sala Santa Cecilia dell’Auditorium di Roma, dove ieri si è svolta la manifestazione delle Fondazioni Lirico Sinfoniche, i nostri grandi teatri lirici, organizzata dai sindacati Cgil, Cisl, Uil, e Fials.

Non è stata una manifestazione facile, anche con qualche contestazione: il termometro insomma della emergenza che attraversano i nostri grandi teatri lirici oramai da tempo in sofferenza. Si soppesano, talvolta con rabbia, gli errori e si prova a dare qualche risposta, per evitare che una gloriosa tradizione lirica come la nostra si spenga, così. Tant’è che a una iniziativa sindacale hanno voluto partecipare e intervenire svariati sovrintendenti, che sarebbero in realtà la controparte – Bruno Cagli Santa Cecilia di Roma, Rosanna Purchia San Carlo di Napoli, Cristiano Chiarot della Fenice di Venezia -, e una sparuta rappresentanza di politici, nonché l’Agis.

L’emergenza sotto gli occhi di tutti è acuta in tre teatri, oltre Firenze, il Carlo Felice di Genova e il Lirico di Cagliari, ma gli altri non se la passano affatto bene: una situazione che si è venuta a creare anche attraverso una serie di provvedimenti legislativi contraddittori tra loro che dal 2005 a oggi secondo Silvano Conti della Cgil hanno ridotto l’intero settore «in un caos organizzato, un polpettone sconclusionato».

Conti ha ricordato la solenne bocciatura venerdì scorso da parte del Consiglio di Stato del decreto attuativo della Legge 100/ 2010, il provvedimento voluto manu militari dall’allora Ministro per le Attività Culturali Sandro Bondi per salvare la lirica e che non solo ne sta solo accelerando la crisi, ma è anche giuridicamente non impeccabile.

«Spero che questa sentenza – si è augurato Matteo Orfini della commissione cultura alla camera per il Pd – segni un definitivo stop a quella legge di riforma, che non riformava nulla. Oggi almeno alla camera ci sono altri numeri e si può fare di meglio». E su questo tema lo sfida Cecilia D’Elia di Sel, ricordando che la vera alternativa non giace sulle ginocchia delle larghe intese.

La maledizione delle nostre istituzioni culturali è la perpetua emergenza, ma da affrontare senza gli strumenti, visto che a livello politico si stenta a riconoscere, e la recente relazione del Ministro Massimo Bray alle camere non sembra aver dato un colpo d’ala. A partire dai sindacati, non a caso, tutti chiedono un tavolo di crisi: «che riguardi tutto lo spettacolo – ha insistito Maurizio Roi dell’Agis -, in grado di gestire ogni singolo settore e caso nella sua specificità, di dotarlo di ammortizzatori sociali con le eccedenze dell’Empals, e di varare una seria riforma», perché se la lirica è in tempesta, non è che il teatro di prosa o il cinema navighino in acque tranquille.

MANCANO I PROGETTI

Ma è l’allarme di Firenze ha destare i maggiori timori: circola l’idea di creare una bad company e liquidare il teatro affossato dai debiti della recente gestione. Una ipotesi forse remota, ma la recente proposta di creare una cooperativa fatta ai lavoratori del Maggio da Matteo Renzi – in quanto sindaco di Firenze anche presidente del teatro -, ha fatto squillare furiosi campanelli d’allarme.

Per ora il commissario straordinario Francesco Bianchi ha proposto altri 120 licenziamenti: messa così l’alternativa sembra essere o liquidiamo i lavoratori o liquidiamo direttamente il teatro e facciamo pure prima.

Ecco il vero nodo, fino a oggi per cercare di salvare il Maggio Musicale, uno dei nostri maggiori e più illustri teatri lirici, non sembra esser- ci alcun progetto: altrettanto succede per il Lirico di Cagliari – «È possibile che dobbiamo essere noi lavoratori a dire al sovrintendente che se taglia la produzione poi ci tagliano anche le risorse pubbliche. Perché ci mandano degli incompetenti a dirigerci!», inveiscono i rappresentanti -, o al Carlo Felice di Genova, dove al terzo anno tra cassa integrazione di solidarietà e vari altri sacrifici chiedono a gran voce un piano, un’idea di teatro.

L’Unità 11.06.13