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“La Ue premia l’Italia: più flessibilità nei conti”, di Andrea Bonanni

“Ce l’abbiamo fatta”. Con questo tweet il premier Letta ha commentato ieri l’annuncio della Commisione Ue che ha concesso più flessibilità ai Paesi virtuosi, tra cui l’Italia, a patto però che si rispetti il tetto del 3% nel rapporto deficit-Pil. La Commissione europea riconosce il margine di flessibilità nei bilanci pubblici conquistato dai Paesi che, come l’Italia, sono usciti dalla procedura per deficit eccessivo. E nello stesso tempo cerca di fissare dei «paletti», delle regole che vincolino il governo ad un utilizzo virtuoso dei fondi (non molti) che saranno resi disponibili.
Ieri il presidente della Commissione Barroso ha annunciato al Parlamento europeo «la concessione di deviazioni temporanee dal percorso del deficit strutturale verso gli obiettivi di medio termine » per i Paesi che rispettano il patto di stabilità. Tradotto dal gergo eurocratico, significa che la Commissione, nell’esaminare i bilanci nazionali del 2013 e del 2014, è disposta ad accettare che i Paesi in recessione, o con una crescita molto debole, possano derogare dal vincolo del pareggio strutturale di bilancio per fare investimenti produttivi, sempre a condizione di non superare in nessun caso il limite del 3% di deficit nominale rispetto al Pil.
Era, questo, un risultato a cui il governo italiano puntava con tutte le sue forze. E infatti la reazione di Roma è stata di grande soddisfazione. «Ce l’abbiamo fatta! La serietà paga» ha scritto su Twitter Enrico Letta. Nel comunicato ufficiale, Palazzo Chigi parla di «un risultato importante, forse il più importante di tutti nel rapporto con le Istituzioni europee. E’ il premio per la scommessa che questo governo ha fatto fin dall’inizio sul rispetto degli obiettivi di finanza pubblica».
In realtà il riconoscimento della flessibilità di bilancio avrebbe dovuto essere inserito in una comunicazione della Commissione. Ma a quanto pare il collegio dei commissari non è riuscito a mettersi d’accordo su un testo formale. E dunque il compito di comunicare le condizioni da rispettare è stato affidato ad una lettera che il responsabile europeo per l’Economia, Olli Rehn, invierà ai governi interessati.
In questa lettera si fissano una serie di «paletti» all’utilizzo del margine di flessibilità, oltre al limite invalicabile del 3%. Le deroghe, scrive Bruxelles, dovranno essere «temporanee» e limitate al periodo di recessione o di crescita particolarmente debole. Gli investimenti autorizzati dovranno essere comunque legati al co-finanziamento di progetti europei, cioè saranno limitati al contributo che lo stato italiano deve versare per sovvenzionare, generalmente nella misura del cinquanta per cento, opere e investimenti che sono stati selezionati e approvati da Bruxelles. La decisione di consentire la deroga di bilancio verrà presa dalla Commissione «caso per caso» e tenendo conto dell’entità del debito pubblico (che per l’Italia è oltre il 130% del Pil). Infatti i governi che vorranno usufruire del margine di flessibilità dovranno comunque rispettare il piano di rientro del debito, che prevede di ridurre ogni anno del 5% la quota di debito che supera il 60% del Pil.
La decisione della Commissione mette anche fine alla speranza italiana di veder riconosciuta la cosiddetta «golden rule», cioè la non contabilizzazione nel deficit di una quota significativa di investimenti produttivi. Tutte le spese, infatti, saranno contabilizzate e andranno ad alimentare il fabbisogno. Quello che viene autorizzato e uno scartamento dal vincolo del pareggio di bilancio, purché non sfori il tetto del 3% del deficit.
Ieri intanto si è tenuta a Berlino una riunione informale dei ministri del Lavoro, cui hanno partecipato anche una ventina di capi di governo tra cui Enrico Letta, Angela Merkel e Francois Hollande, dedicata al tema della lotta alla disoccupazione giovanile. Letta ha illustrato ai colleghi il piano italiano per l’occupazione e ha fortemente sollecitato un ruolo più incisivo della Bei, la Banca europea degli investimenti, nel finanziare le piccole e medie imprese.

La Repubblica 04.07.13