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“Epifani: basta strappi Pdl o è meglio lasciare”, di Claudio Tito

«Preoccupato? È chiaro che sono preoccupato». Il segretario del Pd, Guglielmo Epifani, non nasconde le difficoltà che il governo e il suo partito stanno vivendo in questa fase. Gli strappi del Cavaliere, gli imbarazzi della base democratica e le divisioni emerse nel partito sono tessere di un mosaico mai definitivamente completato. Anzi con l’avvicinarsi della sentenza in Cassazione per il processo Mediaset che potrebbe sancire l’uscita dalla politica per Berlusconi, quelle stesse tessere sembrano rimescolarsi di nuovo. «Per questo serve un chiarimento – dice Epifani – se il centrodestra tira ancora la corda, per noi vengono meno tutti gli spazi di agibilità». Però, avverte, sul sostegno «responsabile » al governo Letta c’è «la stragrande maggioranza del Pd ». E anche le polemiche sulla sospensione dei lavori in Parlamento sono «esagerate». «Lì abbiamo vinto noi e non loro. Brunetta aveva delle pretese eversive e noi lo abbiamo stoppato».
Tutto infatti nasce dal voto di mercoledì sulla sospensione dei lavori. A molti non è andato giù che il Pd abbia accettato la richiesta del Pdl.
«Ma quel che è accaduto l’altro ieri è stato descritto in modo esagerato».
Perché esagerato? I Gruppi democratici hanno detto sì, con alcune eccezioni, alla sospensione dei lavori parlamentari.
«È stato esagerato perché tutto nasce dalle parole di Brunetta, quelle sì al limite dell’eversione. Quando si chiede di bloccare le Camere per tre giorni, si minaccia l’Aventino, le dimissioni in blocco, allora certo la risposta non può che essere ferma. Al Senato, però, Schifani ha motivato tutto in modo diverso. Si è limitato a chiedere di far discutere il gruppo. E poi c’è un altro aspetto».
Quale?
«Non è vero che non si è lavorato, lo si è fatto fino alle 17 dando il tempo, dopo, per le loro riunioni ».
Ammetterà che la base del suo partito non l’ha presa così.
«So bene che l’atteggiamento di Brunetta era grave e inaccettabile, ma è stato respinto. Anzi, abbiamo vinto noi. Lui voleva tre giorni di Aventino e ha avuto solo il tempo di una riunione».
La protesta dei militanti non si concentra sulla semplice sospensione dei lavori ma sul motivo che ha indotto il Pdl ad avanzare quella richiesta. Ossia l’attacco alla Corte di Cassazione, hanno definito i magistrati dei banditi.
«Lo so bene. Ma questo vale per loro, non per noi. Il punto è che loro vivono una fase di grande incertezza e difficoltà e qualcuno è tentato dalla logica del tanto peggio tanto meglio. Se un capogruppo, come ha fatto Schifani, ci dice “abbiamo bisogno di riflettere”, è chiaro che l’oggetto diventa il loro bisogno di parlare più che la sentenza del processo Mediaset».
Proprio lei però dice che così non si può andare avanti. Quindi qualche problema c’ è?
«Se si sgombra il campo dalle discussioni sterili, è chiaro che per noi stare in questo governo è possibile se ci sono margini di agibilità. Questa è una maggioranza con partiti di schieramenti diversi. Allora se ogni giorno qualcuno tira la corda, pone un ultimatum, tenta uno strappo, è chiaro che diventa più difficile anzi impossibile stare insieme. E poi c’è questa spada di Damocle del 30 luglio ». Ma non è che quella sentenza peserà più sul Pd che sul Pdl?
«Per noi la questione è semplice, sentenza o non sentenza: se ci fanno lavorare per affrontare la crisi di questo paese, bene. Altrimenti basta».
Magari i militanti del centrosinistra vi potrebbero dire “non si può stare con un condannato”.
«Si certo, lo capisco. Ma questo era anche due mesi fa. Allora io dico: bisogna distinguere le condanne personali dal fatto che quel partito ha preso otto milioni di voti. E poi, se proprio vogliamo dirla tutta, il processo che pone a noi i problemi maggiori è quello di Napoli. Se si accerta che ha comprato i nostri per far cadere Prodi… Comunque se davvero ci sarà la condanna Mediaset – e io su questo non sono in grado di avanzare giudizi loro non staranno fermi».
Per il momento Berlusconi ha confermato che non vuol far cadere il governo.
«Sta seguendo i suggerimenti di Coppi. Per ora».
Ma quando lei parla di chiarimento, cosa intende?
«Ad esempio, oggi hanno lavorato tutti, hanno lavorato le commissioni e l’aula. È stata approvato il testo per le riforme e la nuova legge sul reato di voto di scambio politico-mafioso. La verifica deve essere nei fatti».
Eppure in questi due giorni davanti a un Pdl frastornato, il Pd si è presentato a dir poco diviso.
«Condivido il documento firmato da 70 senatori che difende il lavoro del Parlamento e del governo. È chiaro che in un partito come il nostro le posizioni legittime come quelle di Civati o della Bindi non verranno mai meno ed è anche giusto. Però vorrei far notare che nell’ufficio di presidenza del gruppo della Camera, tutti avevano convenuto sulla scelta e poi qualcuno non l’ha votata in aula».
Sembra quasi che sia in corso un confronto tra “governisti” e “partitisti”. Fabrizio Barca parla di dorotei nel Pd.
«La vera discussione nel partito è un’altra. È tra chi ritiene che si debba sostenere questo governo perché al momento è l’unico possibile e chi pensa che si debba dare un taglio e tornare subito al voto. Ma la stragrande maggioranza è per appoggiare Letta. Se il documento del Senato venisse presentato alla Camera, otterrebbe un numero di firme ancora superiore».
Nonostante la strana maggioranza?
«Certo, perché quasi tutti capiscono che allo stato non c’è alternativa. Ogni altra soluzione è più difficile e viviamo una crisi economica terribile. Probabilmente ci aspetta il peggior autunno degli ultimi sei anni. E i sondaggi danno ragione al governo. Io vado in giro per il Paese e vedo che le persone sono per Letta. Su questo non mi sbaglio. Quando la crisi morde, la gente ha bisogno di attaccarsi ad una speranza».
Quindi quanto dovrebbe durare questo esecutivo?
«Non so quanto durerà, ma dipende dalle cose che fa. Vorrei sottolineare che il presidente del consiglio in poco tempo si è conquistato una grande credibilità internazionale».
La durata dipenderà più dal Pdl o dal Pd?
«Il nodo è il Pdl. Nei tantissimi comuni e regioni che governiamo, la maggioranza non è quella di Roma. Qui non ci sono i numeri. Quindi dipenderà da quel che farà Berlusconi».
Se staccasse la spina, voi potreste tentare un’intesa con Grillo?
«A me pare difficile, semmai con loro si può cambiare la legge elettorale. Ma sarebbe solo una extrema ratio».

La Repubblica 12.07.13

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“PSICODRAMMA A PARTI INVERSE”, di CURZIO MALTESE

I guai giudiziari di un uomo politico in un paese normale dovrebbero essere essenzialmente affari suoi. Oltre che, si capisce, di dirigenti ed elettori del suo partito. Da vent’anni i processi di Berlusconi sono invece diventati problema di un intero paese. E questo è già molto anomalo. Ancora più anomalo, per non dire grottesco, è che i guai con la giustizia del capo della destra stiano diventando uno se non “il” problema del principale rivale politico, il Partito democratico.
Non si pretende (non più) dal Pd che si comporti come qualsiasi altra forza democratica del mondo di fronte a un avversario colpito da condanne gravi per reati comuni, chiedendone l’immediata uscita dalla scena politica. Non siamo una democrazia normale, è evidente, altrimenti i primi a chiedere le dimissioni di Berlusconi sarebbero i suoi compagni di partito. È tuttavia paradossale che il Pd sia riuscito a importare in casa i guai altrui e a farne occasione di feroci contrasti interni, fra dirigenti e militanti, base elettorale e vertice del partito. Insomma le condanne di Berlusconi, lungi dal mettere in crisi la destra, servilmente compatta intorno al padrone, rischiano di spaccare la sinistra. L’hanno già spaccata, anzi, fra litigi, appelli, pesanti accuse reciproche, divisioni al voto, in uno spettacolo a un tempo preoccupante e assurdo. In ballo c’è la tragica prospettiva che la condanna in Cassazione il 30 luglio possa stroncare la carriera di leader di Berlusconi. Il futuro politico di un quasi ottuagenario in Italia è evidentemente più importante del presente economico di un Paese sull’orlo del baratro, dell’avvenire dei nostri figli.
Ora, in questo ennesimo psicodramma innescato dal berlusconismo, bisognerà forse ristabilire alcuni punti fermi. Il governo Letta e la strana maggioranza che lo sostiene scaturiscono da un’emergenza nazionale che non sono i processi di Berlusconi. Si tratta di un governo chiamato a fare due o tre cose essenziali, lo stimolo alla crescita, il controllo del debito pubblico e una legge elettorale decente, utile e perfino costituzionale. Per compiere questa missione nell’interesse del Paese, il Pd ha messo in conto di accettare qualche compromesso con l’alleato col quale, aveva detto, non avrebbe mai governato. Contro l’opinione di milioni di elettori, compreso chi scrive, ha fatto prevalere il valore della governabilità su ogni altro. Ma se la governabilità finisce per annientare l’identità stessa del Pd, allora tanto vale chiudere l’esperienza e tornare al voto. Dopo aver cambiato la legge elettorale, s’intende, perché il presidente Napolitano ha già detto e ripetuto che non scioglierà mai le camere con il Porcellum imperante.
Quello che il governo delle larghe intese aveva promesso agli italiani, in cambio del tradimento del mandato elettorale, era un’assunzione piena di responsabilità da parte di un ceto politico che per due decenni ha lasciato marcire i problemi del Paese per concentrarsi sui propri. E in particolare sui problemi di uno solo. Se dopo poche settimane siamo ancora lì, con una maggioranza appesa alle vicende personali del solito noto, in grado di paralizzare la vita politica e bloccare i lavori parlamentari, allora è stato tutto inutile. Ne prendano atto e tornino a casa. Non si può fermare una nazione perché il più ricco di tutti, secondo vari tribunali della Repubblica, non ha pagato le tasse. Tanto meno una nazione dove ogni settimana un piccolo imprenditore si uccide perché di tasse ne ha pagate troppe.

La Repubblica 12.07.13