attualità, politica italiana

“Il rebus delle tasse”, di Alessandro Santoro

I nuovi dati sull’evasione fiscale diffusi ieri dal governo durante l’audizione del viceministro Casero alla Commissione finanze della Camera non sono affatto sorprendenti. Quei dati fanno giustizia di alcune demagogiche semplificazioni che vengono fatte nel nostro Paese sulle cause dell’evasione fiscale. Procediamo con ordine. Secondo i dati diffusi dai quotidiani, dei circa 810 miliardi di ruoli emessi dal 2000 al 2012, meno di 70 miliardi sono stati effettivamente riscossi, mentre i rimanenti 730 miliardi sono stati «persi» in parte per provvedimenti di sgravio (legale) e, in parte, per mancata riscossione, per un importo superiore ai 500 miliardi di euro. È bene innanzitutto chiarire di cosa stiamo parlando.

Il ruolo non è altro che un elenco che contiene i nominativi dei debitori e le somme dovute al fisco. In sintesi, si tratta di imposte evase, nel senso lato del termine (perché l’evasione, in senso tecnico, può anche essere dovuta a dimenticanza o errore). Il ruolo viene trasmesso a Equitalia che ha il compito di provvedere alla riscossione. Tuttavia, tra l’emissione del ruolo e l’effettiva riscossione delle somme deve essere seguita un’articolata procedura. Ed è nelle diverse fasi del processo che si evidenziano i problemi. Innanzitutto, la cartella deve essere predisposta e notificata al debitore. Il che significa che il contribuente deve essere trovato. Sembra banale, ma non lo è. Se l’indirizzo è falso, se il debitore è sparito nel nulla o se non è facile capire chi egli sia nell’ ambito della società, la stessa notifica non sarà fattibile o sarà impugnabile. Senza contare che qualsiasi errore formale, dalle firme mancanti ai timbri non visibili, o può essere fatte valere per rendere la notifica non efficace.

Ma questo è solo il primo pezzo della storia. Una volta notificato il provvedimento, al debitore viene dato un certo tempo per pagare e, se non lo fa, si può avviare l’esecuzione forzata, ovvero la vendita all’asta dei suoi beni per ripagare il debito. Ma anche in questo caso non c’è nulla di automatico. Innanzitutto vi sono contribuenti che non sono in grado di pagare, magari perché nel frattempo sono falliti o comunque non hanno più un’attività economica. Non si pensi che questi fenomeni siano residuali: l’Italia è un Paese caratterizzato da un altissimo turn-over di attività economiche, e, mediamente, ogni anno tra il 10 e il 15% di soggetti fiscali muoiono e (in tempi normali) altrettanti ne nascono. E, in molti di questi casi, neppure l’esecuzione forzata cambia le cose, ad esempio quando non risultano titolari di alcun bene e hanno provveduto (nel frattempo o fin dall’inizio) ad intestarli a prestanome con i quali non hanno alcuna relazione formale.

Due sono le lezioni che dovremmo trarre da questi dati. La prima è che il nostro sistema produttivo e, di riflesso, fiscale, è troppo frastagliato, costituito da una miriade di attività economiche fragili, per le quali in alcune casi l’evasione è un sussidio occulto senza il quale non sono in grado di stare sul mercato. Anziché nascondersi dietro il paravento di formule equivoche quali l’«evasione da necessità» bisognerebbe lucidamente chiedersi se questa forma perversa di sussidiazione ha senso e, soprattutto, quanto sia illusoria e distorsiva la logica secondo cui bisognerebbe, anziché ridurre, aumentare ulteriormente la facilità di avvio di nuove attività economiche.

La seconda riguarda Equitalia e gli agenti della riscossione. Le cronache non hanno riportato l’evoluzione temporale del rapporto tra ruoli emessi e ruoli riscossi. Dalle relazioni della Corte dei Conti, però, sappiamo che in generale Equitalia, anche grazie al rafforzamento dei poteri di cui ha potuto godere, si è rivelata ben più efficiente dei riscossori privati (essenzialmente di origine bancaria) che agivano precedentemente. Questo (insufficiente) miglioramento è tuttavia coinciso con la crisi economica, e ha consentito ai «soliti noti» di nascondersi dietro chi aveva (e ha) dei reali problemi di liquidità. Al solito quando si parla di fisco, la nostra opinione pubblica (ahimé, anche quella di sinistra) è entrata in cortocircuito, ed Equitalia è diventata oggetto di attacchi di tutti i tipi, giustificati dall’idea assurda che migliorare la riscossione non sia un incentivo indispensabile per convincere gli evasori a non pagare. Ragionando in questo modo, le cose non potranno che peggiorare.

L’Unità 12.07.13