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“Scuola, la musica è finita”, di Alessia Camplone

Un tempo la richiesta era altissima e la selezione molto dura. Ma ora ci sono sempre meno iscritti ai Conservatori
salvati solo dai corsi primari e pre-accademici e dagli studenti provenienti dall’estero: classi anche con un solo alunno e professori chiamati a insegnare altre materie come il solfeggio. E i sindacati denunciano: riforma ferma da 14 anni.

Nel linguaggio musicale si chiama canone inverso. I Conservatori di musica, davanti ai quali un tempo si faceva la fila per iscriversi, ora si stanno svuotando. Un’inversione di tendenza inaspettata. Sono sempre di meno gli studenti che decidono di dedicarsi allo studio di uno strumento. E così l’Italia sembra mettere da parte la sua cultura musicale, dando l’immagine di un Paese che abbandona una delle sue tradizioni migliori. Secondo i dati ufficiali più recenti del ministero dell’Istruzione, dell’università e della ricerca (relativi all’anno accademico 2011/2012) gli alunni iscritti complessivamente nei Conservatori sono 42.386, mentre i diplomati sono stati 4.826. Sensibilmente in calo rispetto all’anno precedente. Ma i numeri non danno ancora la dimensione esatta della realtà. Perché ad attutire la fuga dai Conservatori incidono i corsi di primo e secondo livello e i pre accademici che vanno a sopperire al calo dei corsi tradizionali. Corsi rivisti con la riforma del 1999. Lanciata e non ancora portata a completamento.
«Il problema è sulla tenuta di questi corsi. Soprattutto su quelli di primo e secondo livello – spiegano dal sindacato della Flc Cgil – Ci fanno temere per i prossimi anni, quando andranno a termine i corsi del vecchio ordinamento. Ora siamo in una situazione di transizione, ma la realtà che ci si prospetta non è delle più incoraggianti. È necessario portare a compimento la riforma dei Conservatori, ferma da 14 anni».
IL PRESTIGIO
Andando ad analizzare i numeri nel dettaglio, in effetti ci sono realtà dove gli iscritti sono calati anche del 20%. E se i numeri complessivi reggono è anche per il fascino ancora irresistibile che i Conservatori in Italia (sono 54 in Italia, ai quali si aggiungono 21 gli istituti musicali pareggiati) hanno sugli studenti stranieri. Disposti a trasferirsi nel Paese del bel canto pur di imparare a suonare. «C’è una situazione davvero di sofferenza per la musica», denuncia il sindacato. «La situazione è davvero preoccupante – spiega Massimiliano Pitocco, ordinario di Fisarmonica del Conservatorio di Santa Cecilia e concertista a livello internazionale -. Noi riusciamo ad avere sempre molti iscritti grazie al prestigio dell’istituto e ai tanti alunni stranieri. Ma un po’ di calo iniziamo ad avvertirlo. Sento colleghi di altri Conservatori che devono fare i conti con cattedre con soli uno o due alunni e che vengono utilizzati per insegnare altre materie, come il solfeggio, per non essere considerati soprannumerari. Una situazione che mai avremmo immaginato se pensiamo che dieci anni fa la selezione per entrare nei Conservatori era durissima».
LE PROSPETTIVE
A registrare il maggior calo di iscrizioni sono soprattutto i corsi classici. Va meglio per i corsi di jazz, di musica antica e, da quest’anno, di didattica della musica. Ma come mai questa inversione di tendenza nelle “vocazioni” musicali? Diverse le cause. Dalla crisi economica e dalla mancanza di prospettive occupazionali. «Si avverte una contrazione legata anche alla confusione per il riconoscimento dei titoli – osserva Benedetto Lupo, pianista di successo e insegnante al Conservatorio di Monopoli -. C’è una riforma che è stata calata dall’alto e non è stata mai portata a termine. Occorre una riflessione culturale ampia. La musica fa bene alla vita. Porta ad avere una pluralità di pensiero». Una politica più attenta. Non solo. «Creiamo scuole civiche dove i bambini possono iniziare a suonare fin da piccoli – propone Lupo che da settembre insegnerà presso l’Accademia di Santa Cecilia, a Roma – E poi occorre un approccio strutturale all’insegnamento e meno scolastico».
Dedicarsi alla musica negli studi è percepita come una scelta elitaria. Ma la realtà è diversa. «Abbiamo ancora l’idea che chi esce dal Conservatorio debba per forza diventare un solista o un orchestrale – chiarisce Pitocco -. Ma i saperi musicali sono molto flessibili e una solida base di preparazione aiuta anche altre professioni di settore. Pensiamo a chi si occupa di acustica o a chi lavora nell’ambito della registrazione». C’è un mondo professionale che aspetta diplomati con una preparazione d’eccellenza nella musica. Prima di rinunciare a una vocazione, forse non bisogna cedere al pessimismo. C’è la crisi, ma la musica può cambiare.

Il Messaggero