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“Un argine alla povertà”, di Chiara Saraceno

Per il secondo anno consecutivo, e in modo più accentuato, è aumentata sia la povertà relativa (cioè in riferimento al tenore di vita medio, per altro diminuito nel 2012 rispetto all’anno precedente) sia quella assoluta, che riguarda l’impossibilità di acquistare un paniere di beni essenziali. In entrambi i casi, il peggioramento riguarda tutte le aree territoriali (anche se nel Mezzogiorno l’incidenza della povertà relativa è oltre tre volte quella del Centro-Nord e quella assoluta quasi doppia) e quasi tutti i tipi di famiglie: le più giovani e le meno giovani, quelle più numerose e quelle più piccole, quelle in cui nessun adulto è occupato ma anche, in minor misura, quelle con occupati, le famiglie di operai e, in minor misura, quelle di impiegati. La disoccupazione ha ridotto il numero di percettori di reddito in famiglia, la riduzione dell’orario di lavoro e la cassa integrazione hanno ridotto il reddito degli occupati. Sono soprattutto le famiglie relativamente giovani e con figli minori quelle che hanno visto peggiorare maggiormente la propria situazione. Si trova in condizione di povertà assoluta, cioè non in grado di alimentarsi adeguatamente e di far fronte alle necessarie spese per l’abitazione, il 17,1% delle famiglie con tre o più figli minori (oltre il 6% in più dell’anno precedente), e il 10% (quasi il doppio dell’anno precedente) di quelle con due. Le percentuali sono più alte – rispettivamente 28,5 e 20,1 per cento – nel caso della povertà relativa. I minori e le loro famiglie si confermano così i soggetti più vulnerabili alla povertà nel nostro Paese. I minori in condizione di povertà assoluta sono un
milione e 58 mila, un quarto di tutte le persone in queste condizioni. Un dato impressionante in un Paese in cui periodicamente ci si lamenta per la bassa fecondità e ci si preoccupa, giustamente, dei Neet, dei giovani che non sono né a scuola né al lavoro, ma poco o nulla si fa per evitare che un’ampia porzione dei bambini che ci sono cresca in condizioni materiali inadeguate. La vulnerabilità dei minori è particolarmente alta se abitano nel Mezzogiorno e se nessun adulto in famiglia è occupato. Quasi la metà di tutti coloro che sono in condizioni di povertà assoluta, infatti, vive nel Mezzogiorno, dove è anche più alta l’incidenza di famiglie in cui nessuno è occupato o ritirato dal lavoro. Tra queste ultime, a livello nazionale si trova in povertà assoluta il 30,8% delle famiglie (l’8,5% in più rispetto all’anno prima). La mancanza di occupazione, e il suo prolungarsi senza speranza, sta diventando un disastro antropologico, che allarga le sue conseguenze dagli individui alle famiglie, dagli adulti ai più piccoli.
Solo per gli anziani che vivono da soli l’incidenza della povertà assoluta non è aumentata e quella della povertà relativa è diminuita un po’ (per effetto del peggioramento complessivo del restante della popolazione). È probabilmente l’effetto positivo del mantenimento dell’indicizzazione per le pensioni più basse. Stante l’elevato numero di coloro che – come segnalato ieri dal rapporto annuale Inps – hanno una pensione attorno, o inferiore, ai 500 euro, esso non è stato tuttavia sufficiente a ridurre la povertà degli anziani che vivono con altri e la cui pensione è talvolta l’unico reddito sicuro in famiglia.
A parte le pensioni, ci si può interrogare sull’adeguatezza degli ammortizzatori sociali messi in campo. Sempre il rapporto Inps ha evidenziato che la spesa per il sostegno al reddito non è piccola: oltre 22 miliardi nel 2012, di cui sei per la sola cassa integrazione, il resto per indennità di disoccupazione e mobilità, invalidità civile, contributi figurativi e simili. Sicuramente queste misure di sostegno hanno impedito a molte famiglie di cadere in povertà assoluta. Ma, a fronte dell’aumento di quest’ultima e delle caratteristiche di chi la sperimenta, non ci si può esimere dal riflettere sui costi sociali della mancanza, nel nostro Paese, di due strumenti che in altri si sono rivelati piuttosto efficaci nel contrastare gli effetti più negativi della povertà. Il primo è l’assegno per i figli, che aiuti chi ha figli a sostenerne il costo, perciò impedendo che la scelta individuale di investire sul futuro si traduca in povertà per sé e per i propri figli. Il secondo è un reddito di garanzia per chi si trova, appunto, in povertà, integrato da misure di inclusione e attivazione. L’Italia è uno dei pochi Paesi europei occidentali a non avere né l’uno né l’altro strumento, affidandosi invece a misure frammentate e categoriali, che, mentre lasciano molti, di solito i più deboli, scoperti, talvolta beneficiano chi invece non ne avrebbe bisogno. Sarebbe opportuno che la presa d’atto dell’emergenza sociale evidenziata dai dati sulla povertà sollecitasse in tutti la necessità di una revisione della spesa per il sostegno al reddito, in direzione di una maggiore
equità ed efficacia.

La Repubblica 18.07.13

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Poveri 9,5 milioni d’italiani disoccupazione verso il 13%, di ELENA POLIDORI

Recessione, disoccupazione e povertà: quest’anno la crisi si fa sempre più marcata. E dunque, la Banca d’Italia rivede al ribasso le previsioni del Pil 2013, fino a meno 1,9%, quasi il doppio rispetto alle stime precedenti. La disoccupazione è destinata a balzare al 13% nel 2014, un punto in più. l’Istat calcola in 9,5 milioni i poveri «relativi» in Italia, il 15,8% della popolazione. Di questi, 4,8 milioni, circa l’8%, non riesce a vivere una vita dignitosa, non avendo neppure i soldi per i beni essenziali: è un record dal 2005.
Ci aspetta un anno durissimo, perciò, come certificano anche Fmi e Ocse. Poi, piano piano, arriverà una tenue ripresa e l’economia tornerà a crescere «a ritmi moderati», dello 0,7%. Gli esperti del governatore Ignazio Visco elencano però una serie di «rischi al ribasso» legati a diversi fattori: le prospettive dell’economia globale, le condizioni di liquidità delle imprese e dell’offerta di credito. Ma attenzione: sui tempi e l’intensità della ripresa grava anche il pericolo di aumenti degli spread sui titoli di Stato. Di sicuro il pagamento dei debiti della pubblica amministrazione, se ben attuato, potrebbe dare una scossa all’economia con un effetto positivo sul Pil dello 0,5% nel 2014 e di 0,1 già quest’anno. Non sono previsti invece contraccolpi negativi sui conti pubblici: l’indebitamento resta stabile.
Luci ed ombre, mentre la recessione falcidia i posti di lavoro, scende il reddito disponibile delle famiglie, calano i consumi (-2,3% quest’anno) e aumentano i poveri. L’Istat fotografa una Italia sempre più in difficoltà, che non riesce ad arrivare alla fine del mese: nel 2011 gli indigenti in termini relativi (coloro la cui spesa per consumi è inferiore alla linea di povertà) erano il 13,6% della popolazione, i più poveri tra i poveri il 5,7%. Nel 2012 questi due valori sono aumentati rispettivamente fino al 15,8% e all’8%. Quasi la metà dei più poveri (2,3 milioni) vive al Sud. L’incidenza della povertà relativa tra le famiglie raggiunge il 29,6% in Sicilia, il 28,2% in Puglia e il 27,4% in Calabria. I valori più bassi vengono registrati invece Trento (4,4%), Emilia Romagna (5,1%) e Veneto (5,8%). I più colpiti sono i giovani e i nuclei familiari numerosi, gli operai e i disoccupati. Ma il fenomeno è in aumento anche tra anche tra gli impiegati e i dirigenti (dall’1,3 al 2,6%).
L’Istat indaga il 2012, la Banca d’Italia guarda all’oggi e al futuro prossimo. In sintesi: le condizioni del mercato del lavoro, che tipicamente reagiscono con ritardo alla dinamica dell’attività produttiva, è previsto che continuino a deteriorarsi, soprattutto per i giovani, nonostante i recenti provvedimenti del governo: una timida ripresa è prevista solo nella seconda metà del 2014. Anche i consumi delle famiglie andranno un po’ giù pure nel 2014: solo meno 0,1%, dopo la caduta del 2,3% prevista per il 2013. Il costo del credito per le imprese italiane non calerà né quest’anno né il prossimo. L’inflazione resterà sotto controllo nel biennio anche con l’ipotizzato aumento dell’Iva. In compenso, dopo tre cali consecutivi, la produzione industriale ha registrato «un modesto aumento in maggio» e «anche in giugno». L’attività economica è prevista stabilizzarsi già alla fine di quest’anno, prima della mini-ripresa del 2014 e al netto della serie di rischi che si profila all’orizzonte, spread in testa. Bisogna non mollare sul rigore. Al governo, il Bollettino lancia un messaggio che suona così: «Il conseguimento degli obiettivi di consolidamento dei conti pubblici è condizione necessaria per contenere i premi di rischio». E più avanti: «Occorre altresì evitare che questi risentano negativamente di incertezze sul quadro interno». Un aumento degli spread si ripercuoterebbe sulla provvista delle banche e quindi su disponibilità e costi del credito a imprese e famiglie.

La Repubblica 18.07.13