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“Riforme ora, o sarà stracciata la Carta”, di Claudio Sardo

Il nostro sistema politico è al collasso. Ha perso al tempo stesso efficacia e credibilità. Si sono persino spezzati alcuni legami tra le istituzioni rappresentative e i principi costituzionali (vedi la legge elettorale). Le riforme sono una urgenza democratica. Chi lo nega, sottovaluta la crisi oppure punta consapevolmente alla distruzione.
Le riforme sono una necessità anzitutto per chi ama questa Costituzione e la considera la «più bella del mondo». Se non si correggerà e non si rafforzerà al più presto la forma di governo parlamentare, quella voluta dai costituenti, diventerà inarrestabile la spinta presidenzialista, che già si mescola a pulsioni populiste e istinti autoritari.
Per questo la guerra dichiarata da alcuni costituzionalisti alla modifica dell’art.138, e ora sostenuta da Grillo e Casaleggio (noti detrattori non solo della nostra Carta ma degli stessi valori fondativi del costituzionalismo moderno), ci appare una scelta autolesionista che rischia di produrre effetti tragici, contrari a quelli auspicati dai promotori.
Il punto non è ̀ la legittimità delle obiezioni alla ddl costituzionale proposto dal governo. Si può sostenere con buone ragioni che sarebbe stato meglio non toccare l’art. 138 e seguire la via «ordinaria». Ma fa impressione la sproporzione dei toni di questa polemica. Il ddl prevede il referendum obbligatorio (e dunque rafforza la rigidità della Costituzione) e con esso anche una commissione bicamerale formata in proporzione dei voti ottenuti alle elezioni (dunque, senza gli effetti distorsivi del Porcellum). Sostenere che la Carta sia stata scassinata al fine di perpetrare un colpo di Stato, è ridicolo prima ancora di essere una assurda violenza verbale.

Ma la verità, purtroppo, è che si tratta di un pretesto. La verità è che qualcuno non vuole cambiare nulla. E pur di far saltare il governo Letta è disposto a usare qualunque arma a portata di mano. Persino l’arma della delegittimazione di questo Parlamento, eletto da meno di sei mesi.

La cosa più grave è che questo scontro divide il fronte del patriottismo costituzionale (perché tra i critici dell’art. 138 ci sono giuristi di grande valore e uomini di assoluta fedeltà alla Carta) e perciò rischia di segnare una sconfitta storica. Ad aprire le porte al presidenzialismo in Italia non sarà certo questa modifica una tantum all’art. 138, bensì il fallimento delle riforme in questa legislatura.

Oggi ci sono, eccome, le possibilità di correggere alcune norme e di rafforzare la forma di governo parlamentare, giungendo ad un approdo molto vicino al modello tedesco (che i nostri costituenti indicarono nel famoso e inattuato ordine del giorno Perassi, e che oggi è sostenuto da costituzionalisti come Rodotà, Capotosti, Onida, oltre che dai «nostri» Luciani, Dogliani, Olivetti). C’è una maggioranza per la forma di governo parlamentare rafforzato nel comitato dei saggi. C’è una maggioranza favorevole a questa soluzione in Parlamento. E se anche mancasse qualche numero a questa maggioranza (dal momento che Grillo sarà sempre contrario a tutto ciò che costruisce, puntando esclusivamente sullo sfascio), in questa legislatura abbiamo un vantaggio incolmabile: l’esito presidenziale o semi-presidenziale nell’attuale contesto è semplicemente impossibile. Non ci sono spazi per un cambiamento radicale dell’intera seconda parte della Carta, in una situazione politica così precaria e nel mezzo di una crisi sociale così acuta. Invece davanti a noi c’è un’opportunità che sarebbe un delitto sciupare. Oggi possiamo rafforzare la nostra Costituzione, eliminando le torsioni della seconda Repubblica, legando il governo al rapporto fiduciario con una sola Camera, riducendo il numero dei parlamentari attraverso l’elezione di secondo grado del Senato, dando stabilità agli esecutivi con un istituto simile alla sfiducia costruttiva. La frattura che si è determinata sull’art. 138 tra coloro che si riconoscono nel dna della nostra Costituzione va risaldata al più presto. La strada di Grillo è il suicidio democratico, come con onestà svela ad ogni dichiarazione il suo ideologo Casaleggio. Semmai è da certi settori del Pdl che dovremmo difenderci, perché potrebbero nuovamente far saltare il tavolo come già avvenne ai tempi della Bicamerale. E questa volta potrebbero usare loro il ricatto del governo. Ecco, dovrebbe essere la sinistra, tutta la sinistra, a respingere questo ricatto: fino a dire che, per fare la riforma nel senso parlamentare in questa legislatura, è disposta anche a dar vita ad un altro governo nel caso il Pdl facesse cadere Letta. Non si può, non si deve tornare alle elezioni senza queste riforme.

Cambiare il Porcellum è un’altra necessità. Il lavoro cominci subito, senza indugi. Ma nessuno può illudersi che riformare il Porcellum basterà a ricostruire la normalità democratica. Cambiando solo la legge elettorale resteremo dentro l’ingovernabilità e la crisi di sistema. E stavolta, dopo il voto, diventerebbe inarrestabile l’ondata presidenzialista.

L’Unità 31.07.13

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