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“Prima di tutto il lavoro”, di Massimo D’Antoni

La settimana che abbiamo alle spalle è stata testimone di un passaggio fondamentale sul piano politico, con la rinnovata fiducia al governo Letta e un cambiamento nei rapporti di forza nel centrodestra che potrebbe preludere ad una vera e propria mutazione. Cruciali per capire se questa evoluzione positiva darà qualche frutto saranno i prossimi appuntamenti di politica economica.
A pochi giorni dalla presentazione da parte del governo della legge di stabilità, vale la pena di richiamare quali sono le principali partite aperte.
Innanzitutto quella dell’Imu. La nota di aggiornamento sui conti pubblici presentata dal governo a fine settembre ha chiarito quali sono le risorse disponibili e dovrebbe costituire un bagno di realismo per le forze che sostengono il governo. È tempo che la destra moderata, se aspira ad essere realmente tale, accetti che non saranno più possibili proposte ultimative, magari corredate da ipotesi di copertura fantasiose come quelle cui ci aveva abituato l’onorevole Brunetta.
Non è realistico pensare che ci siano le risorse per abolire la seconda rata Imu, e se tali risorse ci fossero vi sarebbero impieghi ben più urgenti per il rilancio dell’economia.
Non si è potuto evitare l’aumento dell’Iva, che incide immediatamente sul potere d’acquisto delle famiglie. L’aumento al 22% uno di quei provvedimenti a scoppio ritardato introdotti nel 2011 dal governo Berlusconi, che la coincidenza temporale con la bravata delle dimissioni di ministri e parlamentari ha impedito di rinviare ulteriormente come sarebbe stato opportuno.
Per il rilancio dell’economia il governo punta ora sulla riduzione del cuneo fiscale. Qui la discussione riguarda la misura in cui essa si tradurrà in un aumento del reddito netto (attraverso una riduzione delle detrazioni o dell’aliquota del primo scaglione Irpef) oppure in una riduzione del costo del lavoro (attraverso una riduzione dell’aliquota sulla componente lavoro dell’Irap).
Si scontrano su questo due diverse strategie, rispettivamente quella di chi invoca uno stimolo alla domanda interna e di chi considera invece prioritario operare sul lato offerta attraverso una riduzione dei costi e quindi un aumento della competitività. Il Partito democratico dovrebbe spingere per quanto possibile sulla prima leva, quella che passa per un aumento del reddito disponibile delle famiglie; questo non solo per ragioni di equità ma anche perché non è sul minore costo del lavoro, bensì sull’innovazione di prodotto e la qualità, che le nostre imprese devono poter contare per recuperare ed ampliare la loro capacità di penetrazione sui mercati internazionali.
Il 2014 porta con sé almeno altre due questioni di grande rilevanza. Innanzitutto il riordino della spesa pubblica. Non sono utili qui interventi all’ingrosso, calati dall’alto, che scaricano in modo indiscriminato sul livello inferiore (le Regioni, i Comuni, le scuole, le Asl) la difficoltà di far fronte ai bisogni dei cittadini con risorse insufficienti; occorrono invece programmi di riorganizzazione che, a partire da un’attenta ricognizione, individuino disfunzioni e sprechi in modo puntuale.
Le prime dichiarazioni del nuovo commissario alla spending review, l’economista Carlo Cottarelli, sembrano abbracciare questa filosofia e fanno sperare in un approccio serio di cui, con buona pace di chi immagina fantasiose riduzioni della spesa da realizzare in tempi brevi, si vedranno i frutti nel medio periodo.
Infine, c’è naturalmente la questione dell’Europa. Da questo punto di vista il 2014 sarà un anno cruciale: levato di mezzo l’alibi dell’imminenza delle elezioni tedesche o quello dell’affidabilità del governo italiano, le elezioni del Parlamento europeo e il semestre di presidenza italiano dovranno essere l’occasione per ripensare l’architettura dell’Unione e dell’euro e l’insieme dei rapporti reciproci tra paesi. In un articolo uscito in lingua inglese, il premier Letta ha parlato di solidarietà responsabile, immaginando un sistema che potremmo definire di assicurazione reciproca tra paesi; un primo embrione di unione fiscale.
Su questo obiettivo si misurerà il governo, forte della rinnovata fiducia dei giorni scorsi. Unione bancaria, esclusione degli investimenti dal fiscal compact, una politica monetaria e fiscale di segno più espansivo: sono obiettivi da perseguire e, forse, un po’ più a portata di mano di quanto non fossero solo pochi mesi fa.

L’Unità 08.10.13