attualità, politica italiana

“Il centro impossibile”, di Michele Ciliberto

C’è qualcosa di nuovo oggi nel sole, direbbe il poeta: un gruppo di homines novi sta cercando di costruire in Italia un partito del centro. Una assoluta novità, da noi, in cui sono impegnati giovani talenti, ancora poco conosciuti, della politica italiana: si chiamano Casini, Lupi, Cesa, Mauro, tutta gente alla quale – direbbe un hegeliano di Napoli – «fumano i mustacchi». Non è facile capire cosa si propongano: uno dei più autorevoli, trasferitosi in Italia da Strasburgo per dirigere l’operazione, ha detto che il centro vuole opporsi al «dirigismo» e allo «statalismo» della sinistra, cioè – se capisco bene – alla «pianificazione» di tipo sovietico, su cui anche da noi ci fu un interessante dibattito, ma negli anni Trenta, specialmente tra i teorici del corporativismo.

Uno che li conosce bene, perché li ha lungamente frequentati, ha detto che quello che si propongono è una «caricatura» della Dc: espressione un po’ pesante alla quale la nostra «civiltà della conversazione» – adusa a un lessico sobrio e misurato – non è abituata; ma in questo caso efficace e opportuna.

Se si scava negli archivi della Repubblica, si vede infatti che un partito con questo nome è esistito, ma in un contesto del tutto diverso: era diretto da uomini formatisi nelle file dell’antifascismo; aveva forti radici confessionali, pur essendo laico; si oppone- va frontalmente al comunismo; agiva in una situazione internazionale divisa in blocchi, nella quale l’Italia era una importante marca di frontiera; aveva forti connotati sociali, come appare dai documenti conservati negli archivi.

Fra i «giovani» che vogliono formare il nuovo partito del centro molti, invece, pro- vengono direttamente dalla destra fascista; il cattolicesimo oggi non svolge più il ruolo politico che ha avuto una volta; il comunismo è finito; la situazione internazionale è cambiata dalle fondamenta; l’Italia non ha più alcun ruolo da svolgere come zona di confine tra oriente e occidente. E, infine, i promotori del nuovo partito di centro non mostrano alcuna particolare sensibilità sociale: se incontrassero uno come La Pira, singolare e stravagante esponente di quel vecchio partito (così risulta dagli archivi) lo tratterebbero come un pazzo, un appestato. Chi è costui, che vuole? Salvare una fabbrica? Il Nuovo Pignone, ma che roba è? Il novecento è finito; la classe operaia non c’è più; spazio ai giovani…

Il nuovo centro non è perciò una caricatura della Dc, è veramente una cosa inedita, originale. Bisognerebbe perciò capire cosa è e se può servire all’Italia, ma va fatta una osservazione preliminare: se si consulta l’archivio, specie i faldoni più recenti, si vede che qualche tentativo dello stesso tipo è stato già fatto, e senza grandi risultati: quando formazioni del centro si sono presentate alle elezioni, sono andate, certo, oltre percentuali da «prefisso telefonico», ma non hanno mai raggiunto le due cifre: 4, 5, 6 per cento. Né il destino cinico e baro si è placato quando dall’Olimpo è sceso direttamente Zeus per generare la «renovatio»: hanno continuato ad ansimare, senza mai riuscire a correre come dovrebbe fare, non dico Mercurio, ma almeno il «padre degli dei»…

Come e perché è accaduto questo fatto, che non consente di pronosticare un esito positivo al novissimo centro al quale lavorano questi juniores? Perché l’Italia è un Paese singolare: è certamente, nelle visceri, moderato per una lunga storia; ma è prontissimo, se viene adeguatamente aizzato e «vin- colato», a spostarsi a destra, anche su posizioni «estreme». Come risulta dagli archivi, nell’Italia non è mai esistito un partito moderato di massa. Con una sola, grande, eccezione; ma la Dc fin dal nome evocava la sua matrice confessionale, ed era soprattutto questo predicato – l’essere cattolico, in stretto rapporto con la gerarchia – che consenti- va alle «differenze» sociali, politiche, culturali di conciliarsi in un centro che, proprio per questa sua natura, era disponibile ad aprirsi sia a destra che a sinistra.

Quando però la matrice cattolica – e l’interclassismo che ne scaturiva -, per una serie di motivi si sono frantumati, le «differenze» sono prevalse sull’«unità » e il centro si è dissolto, esplodendo in varie direzioni, co- me è avvenuto negli ultimi venti anni. E che le cose stiano così, sul piano storico, è confermato dal fatto che nel campo «laico» non è mai esistita una «terza forza» di grande peso, nonostante la presenza di figure importanti come La Malfa o Visentini: è sempre rimasta, inesorabilmente, minoritaria. Certo, il Pri è stato un «piccolo partito di massa», come disse una volta un grande dinosauro; ma, appunto, piccolo. Questa è stata la storia e, come direbbe Croce, «non c’è che fare»; la storia è però magistra vitae: in Italia un grande Centro che governi il Paese, oggi, non ha futuro, prospettive. Ne mancano tutte le condizioni. Prima o dopo, se ne convinceranno anche i «giovani» talenti che si stanno buttando in modo impetuoso in questa avventura, nonostante le dure repliche della storia.

Ma il destino del centro nel nostro Paese svela un curioso paradosso su cui meriterebbe riflettere: pur essendo moderata, l’Italia tende, sul piano politico, alla polarizzazione, a meno che non intervengano, come av- venne nel caso della Dc, motivi ultra-politici che spingano verso la «sintesi» dello stesso centro. Ma è una «sintesi» che si spezza quando intervengono, come è accaduto da noi, processi di «secolarizzazione» che travolgono e distruggono gli involucri ideologi- ci: allora prevalgono e si impongono l’esperienza e l’ideologia delle «cento città». Tutti fenomeni che vengono da lontano – addirittura dal Medio Evo, dal Rinascimento – e che la crisi ha potenziato, generando e inasprendo rotture, frantumazioni. Varrebbe la pena di fare, in profondità, una riflessione sulla «identità» italiana, anche per com- prendere il destino della sinistra e come essa, in questa situazione, possa riuscire a costruire visioni generali e condivise, senza cui non può esserci futuro: il nostro Paese, oggi più che mai, è uno strano animale. Una sorta di ircocervo.

L’Unità 24.10.13