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"Lo stallo che non si può accettare", di Federico Geremicca

Paese affascinante, l’Italia, capace di discutere per un’intera giornata – mentre il governo pare a un niente dal collasso e il quadro politico va sfarinandosi come fosse una meringa – di storia o addirittura di preistoria: e cioè se sia stato corretto (o non si tratti invece di «golpe») il fatto che il Capo dello Stato abbia sondato e parlato con Mario Monti nel giugno del 2011 piuttosto che nell’autunno, quando poi lo incaricò di formare il suo governo.

Intendiamoci: la discussione, a suo modo, non è oziosa. Ma è stata inevitabilmente spazzata via – in serata – da eventi più attuali, diciamo così: e che paiono preludere ad un nuovo e temuto precipitare della situazione.

Il primo e più importante degli eventi, ieri, è stato l’ultimo in ordine temporale: il lungo, lunghissimo incontro tra Giorgio Napolitano e Matteo Renzi, convocato al Quirinale affinché chiarisse – definitivamente – quel che intende davvero fare.

Infatti, tre opzioni – tre modelli diversi – per la legge elettorale da varare, si potevano ancora accettare; tre ipotesi per il prosieguo o addirittura la fine della legislatura, invece no. Non foss’altro perché a proporle al dibattito politico è il leader del maggior partito di governo.

Che piuttosto che chiedere ad alleati ed avversari cosa intendano fare, dovrebbe (deve) spiegare lui quale crede sia la rotta da seguire.

Magari tra qualche anno anche questo incontro finirà nell’oscura collezione dei «gialli politici» italiani: Napolitano convocò Renzi nell’inverno del 2014 per fare la festa al governo di Enrico Letta… Ma diciamo subito che è valsa la pena correre questo rischio: perché rischio senz’altro maggiore è l’ormai sfiancante gioco a rimpiattino che vede protagonisti il segretario del Partito democratico – e anche, ma in subordine, sindaco di Firenze – e il Presidente del Consiglio – e anche, ma in subordine, vicesegretario uscente del Pd – (e gli incisi servono a elencare gli incarichi in ordine di importanza e, dunque, le rispettive responsabilità).

Le posizioni dei due «alfieri democratici» sono ormai sufficientemente note: Enrico Letta è attestato sull’antico e comprensibile «resistere, resistere, resistere»; Matteo Renzi lo accerchia, lo assedia, lo stringe ma sa che non può scatenare l’assalto capace di abbattere quella resistenza. E dunque «che fai, mi cacci?» sembra dire il premier, evocando un interrogativo diventato un cult; e «molla, se non ce la fai», ripete invece il segretario da settimane, con una cantilena provocatoria e ormai assordante. Il problema è che si potrebbe andare avanti così per mesi: peccato sia un lusso che il Paese non può permettersi.

Enrico Letta non intende mollare perché ha chiaro che dimettersi equivarrebbe ad una disfatta dalla quale sarebbe difficile riprendersi: attende la scena spettacolare (e improbabile) del suo partito che lo sfiducia nelle aule del Parlamento e lamenta le voci messe in giro ad arte circa sue imminenti dimissioni. Ma anche Matteo Renzi non intende arretrare (verbo che, come la parola rimpasto, gli procura bolle e allergie…) perché il passo indietro rappresenterebbe un vulnus alla sua immagine di schiacciasassi e lo esporrebbe ad una lunga quarantena capace di fiaccarlo e logorarlo. E così, stando alle tre opzioni proposte dal leader Pd (Letta-bis, elezioni o governo Renzi) potremmo dire che il premier prende in considerazione solo la prima e il segretario solo la seconda e la terza…

La situazione parrebbe dunque di stallo: ma è proprio lo stallo ciò che il Paese oggi non può accettare. Lentamente, un po’ per la forza delle cose e un po’ per paura che la paralisi possa precipitare in elezioni anticipate, la maggioranza del Pd e buona parte degli alleati di governo sembrano convincersi che un cambio di mano – una «staffetta» – sarebbe forse la cosa migliore. Chi ancora non pare convinto di questa via, però, è il Capo dello Stato: ed è uno scetticismo non da poco.

Napolitano continua a pensare – e a Renzi lo ha ripetuto ancora ieri – che la cosa migliore sia assicurare al Paese stabilità di governo (con Letta) e al sistema politico le riforme sulle quali Renzi si è impegnato col massimo delle energie. Non resta che pazientare e attendere sviluppi. Pronti a leggere, tra qualche anno, dell’inverno nel quale Giorgio Napolitano dimissionò Letta rendendosi protagonista del suo secondo o terzo golpe…

da www.lastampa.it