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"Il bivio tra Irpef e Irap", di Stefano Lepri

Irpef o Irap? In pochi giorni, il tempo delle belle parole sta già finendo. Chiarire che cosa in concreto significherà ridurre il «cuneo fiscale» richiede una scelta non facile. Questo tecnicismo arcano ma gradito a molti potrà essere riempito con più o meno soldi per le imprese, più o meno soldi per i lavoratori.

Se le risorse sono limitate, ha ragionato il presidente del Consiglio ieri l’altro, meglio concentrarle dove l’effetto è più pronto e più visibile: sull’Irap, ovverosia sulle imprese. Invece il suo partito gli aveva appena consegnato un progetto dove la fetta più grande andava all’Irpef, ossia ai lavoratori. Ieri si è tornato a parlare di un misto.

Per preferire l’una o l’altra opzione possono essere invocati motivi ideologici, destra e sinistra. Si possono confrontare calcoli di politica spicciola, quale scelta fa più colpo, quale allarga i consensi al governo. E purtroppo spingono in direzioni opposte differenti scuole di pensiero economico.

Una crisi senza precedenti non aiuta a trovare consenso sui rimedi. Chi produce è più danneggiato dalla scarsa competitività, o dalla debolezza dei consumi interni? Tra gli stessi imprenditori possiamo raccogliere risposte diverse. L’handicap più grave in verità sta altrove, è l’inefficienza complessiva del Paese; ma nell’attesa che si compiano le riforme, qualcosa occorre fare subito.

Per essere efficace uno sgravio Irpef deve essere concentrato sui redditi più bassi, deve apparire duraturo, deve risultare abbastanza consistente perché chi lo riceve si convinca a spendere un po’ di più. Simulazioni econometriche fatte compiere dal precedente governo non danno risultati incoraggianti.

Sarebbe più efficace uno sgravio alle imprese, attraverso l’Irap? Con la stessa somma si otterrebbe un effetto più visibile dai beneficiari. Ma il governo Prodi 2 non ottenne grandi risultati; e le più raffinate analisi della Banca d’Italia ridimensionano il peso del lavoro tra i fattori di scarsa competitività.

Da una parte occorre considerare che per contenere il costo del lavoro si fa a gara in tutta l’area euro (ultimi i provvedimenti annunciati dalla Francia). Dall’altra, ridare sicurezza a chi ha poco alzerebbe il morale di tutto il Paese. L’occasione è buona per allargare lo sguardo a misure capaci inoltre di bonificare i rapporti tra economia e politica: la Confindustria offre di rinunciare agli incentivi per le imprese, c’è la proposta ardita di utilizzare i fondi di coesione europei. Coraggio è discutere a carte scoperte evitando gli slogan.

La Stampa 28.02.14