attualità, memoria

"Fosse Ardeatine. Dopo 70 anni ecco il volantino fascista che mentì sull’appello a consegnarsi", di Luca Baiada

Pezzo di pane da 100 grammi. Scarsino, eh? Dal 25 marzo 1944, è la razione giornaliera stabilita per i romani. Ogni altro cibo è introvabile o molto costoso. Proprio settant’anni fa, a Roma, dopo l’attacco partigiano in via Rasella (23 marzo 1944) e prima delle Fosse Ardeatine (24 marzo), un comunicato invitò i partigiani a consegnarsi ai tedeschi, per evitare il massacro. Questa odiosa bugia, che offende i 335 morti, la Resistenza e gli italiani, è smentita da libri e sentenze, ma qualcuno ancora la ripete. Si sa, «il più solido piacere di questa vita è il piacer vano delle illusioni », come scrive Heidegger. Adesso, un archivio restituisce un documento. Ne era nota l’esistenza, ma per tracce confuse. Vediamo meglio. Dopo il massacro, a fine marzo 1944, forse il 29, c’è una riunione dei fascisti romani seguita da un volantino. Le carte del Pfr romano sono perdute. Però all’Irsifar (l’Isituto romano per la storia d’Italia dal fascismo alla Resistenza), a Roma, ho trovato un foglio dove sta scritto: «Partigiani vigliacchi e assassini! Romani! In seguito al vile attentato costato la vita a 32 camerati germanici nel pomeriggio del 24 marzo scorso, la giusta e doverosa rappresaglia del Comando di Piazza dell’Esercito Tedesco ha visto la fucilazione di 320 comunisti badogliani detenuti nelle carceri perché condannati a morte per atti di terrorismo e sabotaggio. Ma i banditi comunisti dei gap avrebbero potuto evitare questa rappresaglia, pur prevista dalle leggi di guerra, se si fossero presentati alle autorità germaniche che avevano proclamato, via radio e con manifesti su tutti i muri di Roma, che la fucilazione degli ostaggi non sarebbe avvenuta se i colpevoli si fossero presentati per la giusta punizione. Questa è l’ennesima riprova della vigliaccheria di chi trama contro la Patria Italia al soldo dello straniero e del bolscevismo. Romani, sappiate giudicare! I Fascisti Repubblicani dell’Urbe».
LA DATA È SBAGLIATA
Il riferimento al 24 marzo è sbagliato, oppure la punteggiatura è infelice: via Rasella è il 23 marzo. Ma proviamo ad approfondire. Nel testo c’è la parola «partigiani», ingombrante nel linguaggio fascista, e assente nel comunicato dell’Agenzia Stefani – su cui ragiona bene Sandro Portelli in L’ordine è già stato eseguito (Donzelli, 2005) – pubblicato sui giornali del 25 e 26 marzo. La parola «partigiani» è usata apposta: «vigliacchi e assassini» deve riversarsi sul sostantivo. C’è «rappresaglia», parola estranea al comunicato Stefani. La sua comparsa è collaterale al mito che i partigiani avrebbero potuto impedire le Ardeatine. Nel percorso giuridico e storiografico, la presa di coscienza della politica del massacro fatta dalla Germania è proporzionale al disconoscimento del diritto di rappresaglia, mentre la fabbricazione di quel falso diritto offre già nel processo Kappler, nel 1948, uno strumento antiresistenziale. L’ombra di un’inesistente legalità delle stragi peserà sui processi, e la negazione del diritto di rappresaglia, invece che ovvia, sarà faticosa. Solo nel secolo successivo ci si renderà conto che la rappresaglia è un abito immaginario dell’omicidio. Cioè, la violenza fu ripetuta inoculando negli italiani sensi di colpa. Bisognava, bisogna liberarsene. C’è in gioco anche un’operazione di propaganda. Dopo le Ardeatine, ad aprile e probabilmente il giorno 8, i giornalisti sono convocati dal generale Kurt Mälzer, comandante militare di Roma, e istruiti dall’SS Herbert Kappler. Attenzione al clima psicologico. La strage è già nota, a Roma alcune famiglie hanno ricevuto un biglietto che annuncia la morte del loro congiunto, e molte altre fremono. La denutrizione debilita: c’è solo un pezzo di pane. Il massacro avviene in Quaresima, il 9 aprile 1944 è Pasqua. Per il cattolicesimo, allora più sentito, la settimana che termina con quel 9 aprile ha un senso di contrizione che si scioglie nella pace domenicale. E infatti quella domenica, sul Messaggero, scrive il direttore Spampanato, presente alla riunione tedesca: «Noi ci rifiutiamo ancora di credere che idee e programmi, siano pure antifascisti, possano degenerare. (…) La legge stessa della guerra può rispondere con dura reazione a qualsiasi tentativo di incrinare un fronte interno. (…) Tornerà anche per Roma, come per tutta l’Italia, quella che si chiama la normalità costituzionale».
«LEGGI DI GUERRA»
In accordo con questo quadro, il volantino dice cose che solo il terrore può far credere: c’è stata una rappresaglia legale, ma gli uccisi erano condannati a morte, però anche ostaggi. Concentriamoci su «leggi di guerra». Subito dopo la strage il comunicato Stefani dice che è stato eseguito un ordine tedesco. Cioè, si tratta di un caso singolo. Dopo si fa strada nella stampa fascista la tesi dell’applicazione di una legge. Il volantino è nella fase grigia in cui il sangue crea col monito esemplare la convinzione di una regola. Perciò si insiste con parole giuridiche: il giusto, la condanna, le leggi, i colpevoli. In chiusura – terrificante – l’invito a giudicare, con cui si spingono gli italiani a elaborare dal massacro la norma, e a condividere il verdetto. Insieme, si inventa l’invito ai partigiani a presentarsi, con un comunicato. In seguito, persino Kappler al suo processo negò l’esistenza dell’invito. Eppure è stato a lungo cercato. A vecchie manovre furbesche si è intrecciata una memoria autofabbricata. Ancor oggi qualcuno ricorda i manifesti, dice di averli sillabati, li vede come se fosse adesso. Certo, li vede, ma appunto adesso. L’illusione che porge un ordine, una spiegazione, dà un senso all’inaccettabile. È «il piacer vano delle illusioni», di Heidegger. Se nel ricordo infedele sulle Ardeatine ha avuto un ruolo questo volantino, siamo di fronte a un’arma di guerra psicologica. È reale, è un documento. È stato visto e toccato nel tempo del dolore. Il contenuto è falso: l’invito a presentarsi non ci fu. Ma la realtà può trasferirsi dall’oggettività fisica al discorso. Il documento narra un documento. Maneggiando il testo vero (il volantino), il ricordo può scivolare sull’immagine mentale del testo inesistente raccontato. Forse non è un caso se i più, l’invito a presentarsi prima del massacro, lo ricordano per manifesto e non per radio: è un mezzo simile al testo vero, al volantino dopo. Un testo che ne cita un altro sembra sempre un po’ credibile, specie se non si può fare un controllo, nell’angoscia, nella fame. A proposito, oggi che si mangia? Un etto di pane, e basta. I furti di attendibilità agevolati dalle citazioni possono ingannare anche chi sta meglio e non digiuna. «Il più solido piacere di questa vita è il piacer vano delle illusioni», Heidegger non l’ha mai scritto. Sono parole di Leopardi. Gigante di Recanati, scusami.

L’Unità 23.03.14