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"Il Servizio Civile che fa bene all’Italia" di Giangiacomo Schiavi

La voglia di volontariato che aumenta nonostante la crisi è una buona notizia da mettere sul piatto della crescita. Se aumenta l’impegno a darsi da fare per ridurre disagi, garantire assistenza, assicurare un servizio, vuol dire che c’è nelPaese un capitale umano su cui investire e di cui si dovrebbe tener conto per ogni discorso sulla ripresa: all’innovazione, oltre alla creatività e all’intelligenza, servono anche il coraggio e la generosità. In questo senso l’idea di rilanciare il servizio civile per tutti in occasione del semestre di presidenza italiano dell’Unione Europea, proposto dal settimanale Vita , è l’occasione per riflettere sul valore di certe pratiche che aiutano a vivere meglio. Anche se non impattano sul Pil, come ricordava Bob Kennedy nel famoso discorso del 1968 sul benessere della nazione americana, certi esempi di civismo misurano «la saggezza, la conoscenza, la compassione e la devozione verso il proprio Paese».
Oggi il servizio civile nell’Italia che ha abolito la naja obbligatoria, è soltanto volontario. Per tanti giovani sarebbe un’opportunità e un’esperienza utile per il futuro, integrandolo con i vari programmi esistenti, dai corpi civili di pace, agli aiuti umanitari, all’Erasmus, al servizio civile nazionale. Darebbe loro qualcosa di più di un credito formativo: li renderebbe cittadini attivi impegnati in qualcosa di utile per il loro Paese. E servirebbe anche nelle successive attività lavorative, alle imprese che oggi chiedono sempre più partecipazione sociale e spirito di squadra, perché il tempo speso per gli altri è un investimento a lungo termine che rende.
Purtroppo oggi ai tanti giovani che chiedono di svolgere il servizio civile non viene data risposta. Anzi: a più di centomila giovani che ne hanno fatto richiesta, viene detto che i posti sono limitati. Novantamila di loro pronti a mettersi in gioco sono stati respinti. È singolare che uno Stato con 6 milioni di giovani tra i 18 e i 28 anni e il 40 per cento di disoccupati non si ponga il problema di attivare un servizio civile per chi chiede di poterlo fare. Ed è ancora più singolare sentirsi rispondere che non ci sono risorse, quando gli sprechi della politica sono sotto gli occhi di tutti e i finanziamenti per gli F35 si trovano senza fiatare.
«C’è una degenerazione del sistema», ha detto recentemente il governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco, «frutto della nostra globale trascuratezza». Servirebbe un grande sforzo collettivo che impegni tutti e ciascuno, come ha ricordato alla Fondazione Ambrosianeum l’economista Marco Vitale lanciando questo appello: «Dipende da noi». È vero: dobbiamo recuperare fiducia in noi stessi e nelle nostre comunità e avere più coraggio nel sostenere pratiche formative per i giovani. Un servizio civile adeguatamente svolto sarebbe sicuramente d’aiuto. Lo hanno capito le aziende private che coltivano la risorsa del volontariato per dare valore alla loro presenza sul territorio. Alla Alessi, per esempio, la cassa integrazione è utilizzata per attività socialmente utili, gestite dall’azienda in collaborazione con la giunta comunale: il risultato di partecipazione e di problemi risolti è stato straordinario. Ma ci sono centinaia di altre imprese in Italia dove la responsabilità sociale è ormai un codice etico di comportamento.
C’è un’assenza di Stato, un vuoto di idee e di proposte che la politica, il governo, il Parlamento faticano a riempire con progetti concreti. Dal festival del volontariato di Lucca, dove si parla della migliore Italia e si lanciano le buone notizie, arriva un segnale d’allarme: le associazioni che operano nel settore della Protezione civile hanno difficoltà a trovare mezzi, uomini e risorse. Un motivo in più per sostenere un servizio civile ampio e accessibile a tutti i giovani che ne fanno richiesta.

Il Corriere della Sera 11.04.14