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«Il problema del lavoro è più grave di quel che si dice», di Bianca Di Giovanni

Le scelte fatte nel Def erano quasi obbligate, nelle condizioni date. Ma non è detto che siano sufficienti per far ripartire il Paese. «Servirebbe un intervento forte per favorire la produttività e un grande investimento negli ammortizzatori sociali, altrimenti è difficile che il paese torni a crescere in modo sostenuto». La pensa così Marcello Messori, uno dei più grandi economisti italiani, ordinario alla Luiss di Roma. Il quale avverte: il problema numero uno è la disoccupazione.

Professor Messori, il governo parla di Def per la crescita. È davvero così? «Credo che oggi sia inevitabile rilanciare la domanda aggregata nel brevissimo periodo, perché le famiglie italiane vengono dal periodo più lungo del dopoguerra di caduta di reddito disponibile e le imprese da un calo degli investimenti. Quindi è evidente che un impulso alla domanda interna sia una condizione necessaria per agganciare la ripresa. Per rispondere alla sua domanda bisogna porsi due altre questioni».

Quali?

«Primo, se questo stimolo alla domanda è sufficiente. Secondo, se basta agire su questa leva, o non occorra invece azionarne altre».

E lei cosa risponde?

«Sul primo punto, dubito che nelle condizioni date, con i vincoli di bilancio che abbiamo, si sarebbe potuto fare di più. Il taglio del cuneo fiscale per i redditi medio-bassi ha un valore economico e di equità. Inoltre si è promesso un intervento per gli incapienti e si è indicato un taglio sull’Irap. Dati i vincoli di bilancio, non si può negare che gli stimoli ci sono. Se poi si controllano le simulazioni che lo stesso Tesoro ha fatto, si vede che l’impatto di queste misure sul Pil è modesto. E questo deriva dalla seconda questione, e cioè dal fatto che per l’Italia l’intervento sulla domanda interna è necessario ma insufficiente».

Cosa servirebbe oltre questo?

«Al nostro Paese serve più competitività. Per avviare questo processo non si può partire dal mercato del lavoro, ma da altri fattori. Secondo me bisognerebbe cambiare il sistema di incentivi alle imprese per favorire processi di innovazione organizzativa».
Ma è il momento giusto per farlo? «Credo proprio di sì. Negli anni della crisi abbiamo avuto la chiusura di moltissime piccole e medie imprese. A scomparire non sono state necessariamente le peggiori. Ora chi è rimasto si rende conto che non può continuare con le strategie del passato. E sa anche che questo è il momento di investire. Ecco, questa è l’occasione per far uscire le imprese dalla dipendenza dalle banche e per invitarle a innovare il modo di produrre».

Il governo cosa può fare?

«Il governo potrebbe avviare iniziative importanti, stimolando l’accesso delle piccole imprese al mercato dei corporate bond, e aprire un tavolo per la produttività programmata. È chiaro che questi passaggi portano a una trasformazione radicale del sistema produttivo. Ecco perché occorre tutelare i lavoratori costruendo una rete di ammortizzatori e di riavvio al lavoro per aggiornare le competenze. Cambiare il modo di organizzare la manifattura ha un alto costo sociale: senza un intervento forte del governo il paese rischia di non farcela».
L’intervento sull’Irpef avrà un effetto sui consumi, come si spera?

«Questa è una domanda a cui è difficile dare una risposta, perché nella reazione delle famiglie coesistono due forze contrastanti. Quando è iniziata la crisi gli italiani continuarono a spendere, anche intaccando il patrimonio, pensando che si trattasse di un fatto temporaneo. Poi, quando hanno realizzato che non era così temporaneo, c’è stato un crollo molto deciso. Oggi le famiglie potrebbero decidere di ricostituire il patrimonio, aumentando il risparmio, il che sarebbe una cattiva notizia. Aumentare la spesa, invece, sarebbe uno shock positivo. Ma temo che fino a quando non si risolve il problema dell’occupazione, sarà difficile che si scelga questa strada. In Italia il problema del lavoro è più grave di quanto non dica il tasso di disoccupazione, perché ci sono molti inattivi scoraggiati, che hanno smesso di cercare lavoro. Oggi è prioritario affrontare quel problema e sostenere i redditi con gli ammortizzatori».

L’Unità 14.04.14