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"Anti-euro divisi dai nazionalismi", di Paolo Soldini

Boom è una piccola città del Belgio a metà strada tra Bruxelles e Anversa ed è considerata una roccaforte del Vlaams Belang, il partito indipendentista fiammingo erede del Vlaams Blok. Partito, quest’ultimo, che nel 2004 si sciolse dopo che un tribunale aveva incriminato i suoi leader per razzismo. Marion Maréchal-Le Pen è una giovane parlamentare del Front National francese e, come si intuisce dal nome, ha parentele impegnative: nipote del fondatore del movimento Jean-Marie (suo nonno) e di Marine Le Pen (sua zia).

Il 29 settembre scorso Marion era a Boom, invitata da Philip «Filip» de Winter, capo del Vlaams Belang per portare «agli amici fiamminghi» i saluti del Front e un’offerta di alleanza politica in vista delle elezioni europee. La ragazza, però, non parla il neerlandese e così si rivolse alla platea in francese. Errore clamoroso: quando si sentì apostrofata nell’odiato idioma degli odiati connazionali francofoni, la platea fiamminga esplose in una violenta protesta. «Questa non è dei nostri, è vallona e magari è pure di sinistra, forse proprio comunista»: così i commenti raccolti dagli increduli reporter della Vrt, la televisione belga neerlandofona.

Poi indipendentisti fiamminghi e frontisti francesi hanno fatto la pace. Il Vlaams Belang ha aderito al “gruppone” che Marine Le Pen e il suo sodale olandese Geert Wilders a capo del Pvv (partito per la libertà) stanno mettendo su per unire tutti i nemici dell’euro e i critici-critici dell’Unione europea al parlamento che si eleggerà il 25 maggio, insieme con i partiti populisti antitasse scandinavi, i partitelli ultra-conservatori cechi e polacchi, gli eredi di Jörg Haider in Austria, la Lega nord in Italia e, sempre in Italia, i seguaci della rediviva An dei Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni nel caso (improbabile) che riescano a superare il 4%. Un fronte ampio, ma minato alla base proprio dal problema che la «visita surreale» (copyright de La Libre Belgique) di Marion Maréchal Le Pen a Boom ha messo clamorosamente in evidenza: i partiti populisti antieuropei sono uniti dal loro Gran Ri- fiuto, ma sono costituzionalmente inadatti a convivere, perché le loro attitudini fondamentali pendono o verso il nazionalismo (che per definizione esclude condivisioni transnazionali) o verso il separatismo o, in qualche caso, verso l’uno e l’altro insieme. Si veda il caso del conclamato flirt tra il Front National e la Lega nord. Dietro l’idillio tra Marine Le Pen e Matteo Salvini si nascondono divergenze di percezione degli interessi che la prima, peraltro, non si sforza neppure di dissimulare. Ambedue sono protezionisti, come se i protezionismi non fossero inevitabilmente conflittuali; ambedue pretendono che l’Europa blocchi l’immigrazione, ma sulla distribuzione degli immigrati già arrivati sono pronti a sbranarsi, come sa bene Roberto Maroni che, da ministro dell’Interno, provò a “scaricare” sulla Francia l’ondata di profughi dalla Tunisia. E si potrebbe continuare. Fino ad immaginare quali giganteschi conflitti si aprirebbero se davvero scomparisse l’euro e si dovessero negoziare i tassi di cambio tra le ritrovate monete nazionali. Un incubo.

Il gruppone euroscettico al Parlamento europeo non potrà essere perciò nulla più che una piattaforma di no. Ciò non significa, ovviamente, che non possa condizionare la politica dei grandi gruppi e funzionare in qualche modo da spalla alle istanze più conservatrici, ma è difficile che possa esprimere una politica propria. Tanto più che non comprenderà tutto l’orizzonte del populismo antieuropeo. Almeno tre forze ne resteranno fuori e al momento non è affatto chiaro come si organizzeranno: gli anti-euro tedeschi di Alternative für Deutsch- land, gli indipendentisti britannici dell’Ukip di Nigel Farage e i Cinquestelle italiani. Con tutte e tre le formazioni Le Pen e Wilders hanno cercato un contatto e hanno ottenuto un rifiuto. La polemica di Beppe Grillo con la leader del Front National è stata esplicita e motivata proprio dal riconoscimento di quella incompatibilità politica sulla quale Madame Le Pen scivola disinvoltamente quando si tratta di altri possibili alleati. Ma davanti ai grillini si apre un problema per niente semplice su come e dove andranno a collocarsi nel parlamento futuro. Incertezza che è null’altro che la riproduzione sul piano istituzionale europeo della non-politica in cui Grillo ha soffocato le istanze di rinnovamento che il suo movimento ha, a suo tempo, espresso. Nel gruppo misto, insieme con partitini di varia natura e prevalentemente di estrema destra eversiva, rischiano di scomparire. L’altra possibilità sarebbe il gruppo euroscettico Edl nel quale hanno militato finora tories britannici, conservatori centroeuropei, leghisti italiani e l’Ukip di Farage. Va detto che da qualche tempo c’è un certo avvicinamento tra il capo dei Cinquestelle e Farage, il quale ha pure scoperto che «questo Grillo in Italia sta sviluppando qualcosa di molto importante». L’«importante», si scopre poi, sarebbe l’intenzione di promuovere un referendum sull’euro che al capo dell’Ukip pare un bel modo di «riprendersi la sovranità nazionale» scippata da «quegli idioti di Bruxelles». L’ex comico contraccambia le cortesie e non esclude convivenze parlamentari. Non pare accorger- si, per ora, che con l’inglese, liberista assatanato e così poco ambientalista da considerare una truffa il riscaldamento globale, c’è, o dovrebbe esserci, la stessa incompatibilità che c’è con la francese.

L’Unità 17.04.14