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"Gli occhi strabici dell’Occidente", di Federico Rampini

CON un attacco russo all’Ucraina sempre più probabile, Obama convoca un “G7 telefonico” d’emergenza. All’ordine del giorno: le nuove sanzioni contro Putin, che l’America vorrebbe dure e veloci, mentre l’Europa continua a tergiversare.
LA TENSIONE è alle stelle anche sul fronte economico, dopo che Standard & Poor’s ha declassato il rating della Russia quasi al livello “junk” (titoli “spazzatura” ad alto rischio di default) e le fughe di capitali da Mosca accelerano. Ma l’unità dell’Occidente è piena di distinguo. Inoltre, anche la Casa Bianca è tutt’altro che convinta che le sanzioni possano dissuadere Putin. Unica nota leggera nel crescendo di allarme: Obama conferma che «sì, si butterebbe in acqua per salvare Putin se lo vedesse affogare», in risposta ad un apprezzamento non si sa quanto convinto da parte del leader russo (era stato Putin alla tv russa a definire Obama «una brava persona che non esiterebbe a buttarsi in acqua per salvarmi», ma nel suo caso non è sicuro se fosse un complimento, o invece un’allusione a debolezza e ingenuità dell’americano…).
Obama è costretto a fare le ore piccole mentre è ancora in tournée asiatica. Come non bastassero i preparativi nucleari della Corea del Nord, quando è
notte in Estremo Oriente lui convoca a telefono Angela Merkel, François Hollande, David Cameron e Matteo Renzi: un G7 in formato ridotto con i quattro europei della Nato che fanno parte di quel club. Vistosa è l’assenza di Lady Catherine Ashton, quella che dovrebbe essere ministro degli Esteri dell’intera Unione europea. Sulla carta, è vero, la Commissione Ue partecipa ai G7 solo come osservatrice.
In quell’assenza però gli americani leggono anche la disunione dei loro alleati. Tant’è: nessun annuncio di nuove sanzioni esce da quella teleconferenza. «Fin dove può arrivare Putin?» si sarebbero chiesti a turno sia la Merkel che Hollande e Cameron. Di fronte alla brutalità delle mosse di Mosca nell’Ucraina orientale, gli occidentali ribadiscono che il torto sta tutto da quella parte.
«Il governo ucraino ha rispettato tutti i suoi impegni – è la posizione unanime del G7 – ivi compresa l’amnistia per tutti i ribelli che abbandonino gli edifici governativi occupati. Putin non ha affatto rispettato gli accordi di Ginevra, non si è degnato neppure di lanciare un appello alle milizie filo-russe perché depongano le armi». Fin qui l’analisi delle colpe è chiara, la condanna è inequivocabile.
Sul da farsi, invece, gli occidentali tentennano. L’America spinge per nuove sanzioni, subito, passando a un livello superiore. Non basta cioè prendere di mira degli individui, siano pure gli oligarchi più vicini a Putin. Bisogna lanciare sanzioni “settoriali”, colpire pezzi interi dell’economia russa. E’ qui che gli europei deludono ancora una volta Obama. Lui si aspettava una decisione comune sulle nuove sanzioni già ieri, invece il weekend è arrivato senza annuncio. Ciascun governo europeo torna a farsi i conti in tasca. I paesi più dipendenti dall’import di gas russo scongiurano che l’energia resti fuori dalle sanzioni. La Francia ha paura di perdere commesse militari. L’Inghilterra non vuole subire fughe di capitali degli oligarchi con conto bancario nella City di Londra. Affiora perfino una richiesta del Belgio: niente sanzioni sull’import di diamanti, per carità, la piazza di Anversa sarebbe danneggiata se scomparisse la materia prima, le pietre preziose che vengono dalla Russia. La Casa Bianca è disposta a ripiegare su un pacchetto di sanzioni più mirate, lo staff di Obama col Dipartimento di Stato e col Tesoro hanno pronta una nuova lista di nomi, individui e aziende strettamente legati a Putin, implicati perfino nella destabilizzazione sull’Ucraina. Anche su quella lista, gli europei hanno da ridire. Gli atti non coincidono con la retorica, visto che Hollande invoca «una risposta rapida» e la Merkel gli fa eco con un perentorio «dobbiamo agire».
Nessuno sembra farsi illusioni sull’effetto che questi appelli possono avere su Putin, che nei giudizi del G7 «continua a peggiorare la tensione con un’escalation di retorica e con le minacciose esercitazioni militari al confine con l’Ucraina». Per Obama non ci sono dubbi sul fatto che «Putin vede il mondo con gli occhiali della guerra fredda». Non è chiaro quali occhiali abbiano deciso di usare i leader occidentali, alle prese con una crisi della quale denunciano la gravità senza vederne l’esito.

da Repubblica

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“Sull’Ucraina Europa in seconda fila”, di Mario Deaglio

A poche settimane dalle elezioni che rinnoveranno il Parlamento di Strasburgo, le forze politiche europee appaiono attentissime ai propri problemi nazionali, ma distratte o capaci soltanto di vaghe istanze per quanto riguarda i problemi europei. Nello spazio politico europeo si agitano idee e programmi su come ottenere più soldi dall’Europa, attraverso il Fondo Sociale Europeo e altri strumenti del genere, mentre esiste una quasi assenza di dibattito, un vero e proprio vuoto su come farà l’Europa a crescere in modo da rendere più abbondanti le risorse che consentono tale redistribuzione.

Il vuoto diventa un abisso nel quale sprofondano socialisti francesi, conservatori inglesi e democristiani tedeschi (per non parlare delle forze politiche italiane) quando si considera il ruolo dell’Europa nell’economia e nella politica globale. Siamo in presenza di un’incredibile carenza di «visioni», idee e progetti, particolarmente evidente nel caso della crisi ucraina, esploso sulla “porta di casa” dell’Europa senza che l’Europa se ne preoccupi più di tanto. Al punto di lasciare tranquillamente agli Stati Uniti – che sembrano giocar la carta ucraina per ribadire un’egemonia mondiale fortemente indebolita negli ultimi anni – l’iniziativa diplomatica e la gestione strategica di questa delicatissima vicenda, come è avvenuto ancora ieri con le consultazioni tra Obama e i leader europei.

Eppure, l’Ucraina e la Russia sono molto più importanti per l’economia e l’assetto politico europeo che per l’economia degli Stati Uniti e un embargo occidentale alla Russia, o qualche altra sanzione dura, finirebbero per danneggiare gravemente l’Europa mentre gli Stati Uniti ne sarebbero solo lievemente toccati (e forse, in taluni casi, perfino avvantaggiati). Se infatti aderisse a tale embargo, l’Europa si farebbe economicamente del male con le proprie mani, quasi senza rendersene conto. Si verificherebbe una riduzione sensibile della domanda russa di prodotti europei anche se, senza arrivare all’embargo, i rapporti commerciali tra Europa e Russia dovessero indebolirsi fortemente e se l’economia russa andasse in crisi per effetto delle pressioni esterne: quasi «per disattenzione», senza averne mai neppure seriamente discusso, l’Europa potrebbe trovarsi risucchiata in una fase depressiva proprio quando gli ultimi dati segnalano una ripresa ancora modesta ma incoraggiante. Gli europei dovrebbero inoltre cercare affannosamente fonti di energia in grado di sostituire il gas e il petrolio russo già dal prossimo inverno.

All’interno dell’Europa, le economie maggiormente interessate agli andamenti russi – e quindi alla gestione della crisi ucraina – sono quella tedesca e quella italiana. Entrambe ricevono dalla Russia, in parte attraverso l’Ucraina, un apporto molto importante alle risorse energetiche delle quali hanno bisogno; entrambe esportano verso la Russia prodotti qualificanti. Al di là delle dimensioni quantitative (la Russia è un partner commerciale primario dell’Unione Europea) vi è una dimensione qualitativa che va tenuta in conto: per moltissime imprese italiane che producono impianti e macchinari, prodotti chimici e medicine la presenza in Russia (garantita anche da stabilimenti e reti distributive) consente un «salto di dimensione» tale da permettere alle imprese in questione di impostare strategie globali.

Allo stato attuale della spinosa vicenda ucraina, caratterizzata dalla scarsità di informazioni indipendenti, sono razionalmente ammissibili, ma entrambe con molte riserve, sia opinioni da «falchi» sia opinioni da «colombe». I «falchi», tra i quali va annoverata Hilary Clinton, possibile candidato del partito democratico americano alle prossime elezioni presidenziali, paragonano il presidente russo Vladimir Putin a Hitler e l’annessione della Crimea all’annessione dei Sudeti: un’analogia piuttosto debole da un punto di vista storico. Tra le «colombe» si possono annoverare i trecento intellettuali tedeschi che, in una lettera aperta di qualche giorno fa, hanno espresso un certo appoggio a Putin, anche qui sulla base di paragoni storici che non sembrano fortissimi. Non è invece accettabile, ed appare difficile da comprendere, l’assordante silenzio europeo mentre l’ala orientale della casa europea rischia di essere coinvolta in questo grave incendio.
Tale vuoto politico conferma che la politica europea è inadeguata rispetto alle esigenze dell’economia europea, non ne comprende le necessità e può danneggiarla anche gravemente con le proprie esitazioni. In questa situazione il «vecchio Continente» rischia di rivelarsi davvero vecchio e inadeguato, paralizzato dalle proprie indecisioni che lo portano sovente a un localismo esasperato anziché a una visione globale. I suoi primati industriali si stanno rapidamente riducendo: l’acquisto da parte di Microsoft della maggior parte delle attività di Nokia ha sancito il declino della telefonia cellulare, dominata in gran parte dagli europei, a favore di sistemi di comunicazione che utilizzano Internet (dominati in gran parte da americani, coreani e cinesi). Il possibile acquisto di Alsthom, il gigante francese del settore energetico-ferroviario, da parte dell’americana General Electric va nella stessa direzione. L’Europa, insomma, è in «seconda fila», come dice il titolo dell’Annuario ISPI 2014. E rischia di arretrare alla terza o alla quarta fila, con la prospettiva di diventare irrilevante; o addirittura di uscire di scena se mai le elezioni di maggio fossero vinte dagli avversari dell’euro e dell’unione economica.

da www.lastampa.it