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"Il Parlamento degli anti-europei", di Andrea Bonanni

L’Europa,così com’è, non gli va a genio. La moneta unica tanto meno. Ma neanche tra di loro si piacciono tanto. L’esercito di antieuro che si prepara ad invadere l’emiciclo del Parlamento europeo rischia di presentarsi come un’armata Brancaleone: minacciosa per la sua consistenza numerica e il disagio che rivela, ma politicamente insignificante e non in grado di influenzare le scelte dell’Europa. Se messi tutti insieme, estrema destra ed estrema sinistra, i deputati contrari ai Trattati europei e alla moneta unica così come viene gestita oggi, formerebbero il primo partito. MAla coabitazione è evidentemente impossibile. Non solo perché la sinistra di Tsipras non potrebbe mai fare fronte comune con la destra della Le Pen, ma anche perché all’interno di quel grande «partito della paura» che intercetta i voti di destra, le incompatibilità sono maggiori delle sintonie.
Il Parlamento europeo funziona, come tutti i Parlamenti nazionali, sulla base dei gruppi politici. La riunione dei capigruppo è quella che, in base ad un criterio di proporzionalità, assegna i rapporti, distribuisce gli incarichi nelle commissioni, programma il lavoro politico dell’assemblea e si ripartisce i finanziamenti.
Chi non riesce a entrare in un gruppo politico o a crearne uno proprio, finisce inevitabilmente per essere un paria, senza possibilità di influire sul funzionamento dell’istituzione. Ma per formare un gruppo politico, il regolamento richiede che ci siano almeno 25 eurodeputati di almeno sette Paesi diversi. E nell’eterogenea armata di oltre duecento deputati anti europei, l’operazione si prospetta tutt’altro che semplice.
Cominciamo con gli inglesi. La Gran Bretagna manderà a Strasburgo un folto gruppo di euroscettici eletti nell’Ukip, lo Uk Independence Party, e un buon numero di Conservatori. I due partiti sono però rivali e incompatibili: lo Ukip vuole l’uscita dall’Ue, mentre i conservatori chiedono di rinegoziare i Trattati.
In compenso, nessuno dei due partiti britannici è disposto ad allearsi con un altro forte gruppo di euroscettici, che saranno gli eletti francesi del Front National di Marine Le Pen: troppo di destra, troppo xenofobo e troppo populista. La Le Pen, secondo i sondaggi, avrà un successo strepitoso, grazie al sistema elettorale proporzionale. Ma troverà non poche difficoltà a formare un gruppo politico. Pur facendo parte dell’estrema destra, non vuole allearsi con i neonazisti ungheresi di Jobbik, né con quelli greci di Alba Dorata, troppo eversivi per i suoi gusti, che
pure sono dati in crescita nei sondaggi.
Potrebbe allearsi con la Lega Nord. Ma di certo risulta incompatibile con il Movimento Cinque Stelle di Beppe Grillo, che i pronostici danno come un altro dei grandi outsider di queste elezioni.
I quattro “tenori” del fronte anti-euro risultano dunque incompatibili tra loro. Forse alla fine riusciranno a formare quattro gruppi politici distinti raccogliendo l’adesione di partitini minori e di “cani sciolti” eletti negli altri Paesi. Ma si tratterà comunque di gruppi minoritari, nessuno dei quali sarà in grado di diventare neppure la quarta forza del Parlamento, dopo popolari, socialisti e liberali.
In compenso, l’invasione degli euroscettici avrà paradossalmente l’effetto di rafforzare la maggioranza filo-europea dell’assemblea di Strasburgo. Già popolari, socialisti e liberali hanno stretto un patto di ferro per negoziare tra loro la designazione del prossimo presidente della Commissione europea e imporne la nomina ai capi di governo, che fino ad ora erano i soli a decidere chi dovesse sedersi sulla poltrona più importante d’Europa. Questa maggioranza, nata dalla volontà di democratizzare la vita delle istituzioni comunitarie e sottrarle all’egemonia dei governi, sarà rafforzata e consolidata dalla contrapposizione con il fronte anti-europeo e dalla necessità di contrastarlo in tutte le numerose decisioni che riguardano un rafforzamento dell’integrazione. Quella che si creerà sarà, insomma, una larga maggioranza di “salute nazionale” europea, che relegherà ancora di più ai margini i partiti euroscettici. In questo senso, una volta decisi i giochi per la presidenza della Commissione, il Partito popolare potrebbe finalmente affrontare la questione della manifesta incompatibilità nei suoi ranghi di personaggi imbarazzanti e sostanzialmente anti-europei, come Silvio Berlusconi e il premier ungherese Viktor Orban. Ora gli eletti di Forza Italia e gli ungheresi di Fidesz sono essenziali per garantire al Ppe la posizione di partito di maggioranza relativa. Ma, in un Parlamento nettamente diviso sulla discriminante tra pro e anti-europei, la loro collocazione naturale è dalla parte degli euroscettici. E un loro allontanamento dal Ppe rafforzerebbe la coesione e la determinazione del fronte filo europeo.

La Repubblica 30.04.14