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"Renzi: senza riforme Italia ridotta a fanalino di coda Ue", di Vladimiro Fruletti

L’alternativa è secca: o guida dell’Europa o fanalino di coda. O fare da traino, diventare la locomotiva o accontentarsi di essere trainati. Il premier si presenta al convegno organizzato dal Pd sulle riforme istituzionali dopo che nella mattina, alla direzione democratica, ha chiesto al suo partito di giocarsi la sfida elettorale a viso aperto, nelle piazze. E dai costituzionalisti e parlamentari, chiamati a dire la propria sul disegno di legge costituzionale, Renzi incassa un sostanziale via libera. È vero che sono assenti i cosiddeti “professoroni” come Rodotà e Zagrebelsky, e che non mancano le osservazioni, i distinguo e le critiche: Valerio Onida e anche altri gli fanno notare che le riforme non possono avere come giustificazione il taglio dei costi della politica. Ma tirando le somme finali la platea sembra più orientata a dare fiducia al progetto del governo che non ad affondarlo.

Del resto lo stesso Renzi dando il via al confronto smonta subito le accuse più dure dei suoi professori avversari. Il progetto di riforma costituzionale non è né autoritario né estemporaneo. Che le istituzioni abbiano bisogno di «cambiamenti, modifiche e ripensa- menti», spiega, è una «constatazione» c’è ampia «convergenza» fra tutti gli ad- detti ai lavori oramai da «decenni». A Onida ricorda un dibattito dell’Ulivo a Figline Valdarno a metà anni 90. E quindi ora c’è da condurre in porto questa lunghissima riflessione. Evitando, come s’appunta sul foglietto che ha da- vanti di introdurre un tema, come il presidenzialismo o la forma di governo, che non è certo un tabù ma che ora potrebbe di nuovo far sfilacciare irrimediabilmente la tela fin qui tessuta.

Il premier infatti ribadisce essenzial- mente che la riforma costituzionale non è da considerare una variabile indi- pendente della sua politica. Perché c’è un filo rosso che la lega al superamento delle province, al progetto di riforma della pubblica amministrazione e ovviamente all’Italicum. Una legge elettorale che per il premier potrà anche essere discutibile. Forse le soglie potrebbero essere alzate e ci vorrebbero norme anti-discriminazione, ammette. Ma chiede che gli venga anche riconosciuto che col ballottaggio s’è introdotto un «elemento di novità straordinario», di cui da tempo (soprattutto a sinistra) si discuteva senza averlo mai ottenuto.

La conclusione di questo ragionamento renziano dunque non può che essere che il confronto è sì giusto, necessario ed anche salutare, ma che poi ci sarà da decidere. E non per risponde- re alla sua «frenesia» di fare qualcosa solo per dire che s’è fatta, ma «all’ansia di cambiamento dei cittadini». E qui il rischio maggiore per Renzi lo corre proprio il Pd. Gli altri, da Grillo a Berlusconi, possono accontentarsi di urlare o avanzare proposte che non stanno in piedi, il Pd no. O fa le riforme che ha promesso, e che ha fatto decidere, sottolinea non casualmente Renzi, a milioni di cittadini con le primarie, o sarà sconfitto. Il momento, spiega Renzi, è «delicato». Il filo che tiene insieme politica, rappresentanze, istituzioni e cittadini s’è pericolosamente sfilacciato e quindi non ci si può più permettere di fronte ai problemi di reiterare le promesse senza mai scegliere le soluzioni. Vincerebbe chi i problemi non vuole risolverli ma solo cavalcarli. Quindi alternative non ci sono: o la politica riesce a dare risposte «in tempi stretti» o «noi perderemo la nostra credibilità». Certo i tempi non sono quelli ipotizzati. Rinunciare alla data del 25 maggio per il sì al disegno di legge costituzionale, ammette, gli è costato «personalmente». Ma soprattutto «politicamente» perché sarebbe stato un ottimo biglietto da visita per un’Italia che pochi giorni dopo avrebbe assunto la presidenza del semestre europeo. Là, assicura, più che alle nostre scelte economiche, che «agli 80 euro», guardano alle riforme istituzionali. Ma lo slittamento s’è reso necessario per evitare inquinamenti da campagna elettorale. Il sì dell’aula del Senato ci dovrebbe essere entro il 10 giugno. Almeno questo è l’obiettivo ribadito dalla ministro Maria Elena Boschi che ieri è salita a riferire al Colle. Stasera la commissione darà il primo ok. «L’Italia può e deve cambiare in tempi certi» avverte Renzi. Ma non tutti nel Pd sono pronti a scommetttere che dopo le elezioni la strada sarà davvero in discesa.

L’Unità 06.05.14