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"Rilanciare la Rai: non basta un taglio", di Vittorio Emiliani

La polemica innescata sulla Rai e dentro la Rai dalle dichiarazioni di Matteo Renzi, a partire dalla richiesta di portare al governo un obolo sotto forma di 150 milioni di euro, può essere positiva se conduce ad una vera riforma in senso «aziendale». Se porta cioè a fare o a rifare della Rai un’impresa. Pubblica sì e però in grado di funzionare come azienda, eliminando, certo, sprechi e sacche di improduttività e però avendo anche compiti meglio definiti. Gli strumenti sono due. Primo, il contratto di servizio che regola i rapporti fra lo Stato e l’azienda in discussione.

Secondo, un organismo di garanzia che la sciolga dall’abbraccio soffocante del governo e del partito di maggioranza, voluto con ogni forza da Berlusconi nell’intento, in parte riuscito, di «affondare la Rai».

Le sedi regionali sono sovradimensionate e quin- di troppo costose? Non è stata sempre la Rai a voler- le così, è stata la politica di un passato spesso lonta- no. Il centro di Firenze è certamente faraonico, da ogni punto di vista, ma risale ai tempi dei tempi, all’epoca bernabeian-fanfaniana. Certo va ripensato e però non è cosa che si improvvisa. In ogni caso però l’informazione regionale fa parte degli obblighi di servizio pubblico. Una Rai agile e snella ne fareb- be volentieri a meno e però le viene imposta in base al canone. Che però quest’anno non è lievitato, chis- sà perché, neppure di un centesimo e che ormai vie- ne evaso «normalmente» da quasi un terzo degli utenti. Molti di loro pagano tranquillamente un ab- bonamento Sky che costa dieci volte il canone Rai e che però non li salva da una vera e propria fiumana di spot, ma quando devono sborsare poco più di 113 euro per la Rai, sostengono che è «un iniquo balzello tutto italiano».

Fesserie. C’è in tutta Europa e costa molto di più. In Germania e in Austria il doppio e anche oltre, in Svizzera il triplo. Nella stessa Irlanda viaggia sui 150

euro. E in Europa l’evasione è contenuta, mentre da noi è diluviale, soprattutto nelle grandi città, a Napoli non lo paga la metà degli utenti. Nel- la terra dei Casalesi lo evade il 90 %. L’esatto contrario del- la provincia di Ferrara, dove a Copparo o a Goro non lo pa- gano, sì e no, due o tre fami- glie in tutto…

Lo Stato, il governo esiga dalla Rai un piano serio, inci- sivo, pluriennale di ristruttu- razione produttiva, di rientro da sprechi e parassitismi, da

maxi-stipendi per gli «appesi» (dirigenti e direttori silurati e rimasti lì), pretenda un piano di riduzione dagli appalti esterni e il ritorno a produrre in pro- prio al fine di utilizzare in modo pieno i suoi oltre 11mila dipendenti. Ma fornisca all’azienda gli stru- menti – che hanno tutte le altre Tv europee, Bbc in testa – per combattere l’evasione. È impopolare? For- se. Ma non è meglio che dire alla Rai di vendere, oplà, Rai Way, la società delle torri e dei ponti, per «sacrificare» 150 milioni sull’altare della Patria?

Ho fatto parte del Consiglio di amministrazione, presidente Roberto Zaccaria, che nell’aprile 2001 aveva ceduto ai texani di Crown Castle il 49 % di quell’azienda ricavandone ben 724 miliardi di lire netti già depositati alla Chase Manhattan Bank in attesa della «presa d’atto» del ministro delle Tlc. Non si sentì di darla alla vigilia delle elezioni il mini- stro Salvatore Cardinale (Udeur). Vinse Berlusconi e ovviamente Maurizio Gasparri disse di no accusan- doci anzi di aver «svenduto» quel 49% di Rai Way. Ci avrebbe pensato lui a trovare altri migliori acquiren- ti.

Balle solenni. Venderla per questi 150 milioni di euro, vorrebbe dire svenderla. O la Rai è una impre- sa, o la si considera il solito carrozzone da mungere (in tempi di vacche magre pubblicitarie da paura). Non si può ignorare che l’azienda di Viale Mazzini viene – secondo le statistiche elaborate da un solerte ex dirigente Rai, Francesco De Vescovi – da un 2012 in passivo per 244 milioni di euro e da un 2013 con un attivo minimo (5,3 milioni) e con ascolti calanti, soprattutto fra i giovani. Per cui nell’intera giornata essa è scesa dal 48% di ascolti del 1998-99 al 38% di quest’anno e in prima serata dal 49 al 40 %, ma nella fascia fra i 25 e i 54 anni precipita al 29 %, diventan- do così la terza emittente dopo Mediaset (in discesa anch’essa e però al 37%) e le altre tv (34%).

Renzi vuole una Rai autonoma da partiti e gover- ni? Non ha che mettere subito in agenda la tanto auspicata Fondazione stile Bbc, proprietaria di tutte le azioni Rai, garantita da «governors» competenti e al di sopra di ogni sospetto (ci saranno anche in Ita- lia) i quali nominano i vertici aziendali. Se ne discute da anni. Si sa tutto di essa. Il sottosegretario Delrio, da Lucia Annunziata (incredula), ha annunciato la ferma intenzione del governo di affrontare il conflit- to di interessi. Benissimo. Cominci con lo sbaracca- re l’iniqua legge Gasparri tutta favorevole a Media- set. Ma partire dalla coda dei 150 milioni, no, non sembra onestamente credibile. Una azienda è una azienda. E il cavallo di Viale Mazzini può davvero stramazzare stavolta. Altro che 150 milioni, dopo.

L’Unità 16.05.14