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"Così l’Europa ha migliorato la nostra vita", di Vladimiro Zagrebelsky

L’appello rivolto dal presidente Napolitano insieme ai Presidenti di Germania e di Polonia a «Votare e Votare per l’Europa», non ha trovato l’attenzione che merita, travolto nel gorgo di insulti, sciocchezze e battute di spirito che avvelenano la campagna elettorale. E invece quell’appello è importante. È innanzitutto importante perché viene dai Presidenti di tre grandi Paesi dell’Unione europea, che, pur rappresentando storie e caratteri diversi, chiamano all’unità d’Europa. A prova che il motto della Unione europea, Uniti nella diversità, risponde ad una realtà ancor viva, che i vari stereotipi di contrapposizione (primo fra tutti quello dei Paesi del Nord opposti a quelli del Sud) non riescono ad annullare.

è poi fondamentale il contenuto dell’appello, perché finalmente attira l’attenzione su temi diversi da quello, importante ma non esclusivo, della politica economica e della relativa crisi.

La pace nella grande area dell’Unione viene data per scontata. La maggior parte delle attuali generazioni non ha visto la guerra, non ne conosce l’orrore, non sa che per secoli gli europei si sono combattuti in un’infinita guerra civile europea, che nel secolo scorso, ha trascinato nel conflitto l’intero mondo. Ma la pace acquisita è anche il frutto di un’audace iniziativa politica, lanciata alla fine della seconda guerra mondiale, da uomini politici lungimiranti e convinti che l’Europa non avrebbe potuto vivere in pace se non unificandosi. La costruzione europea cominciò a realizzarsi concretamente mettendo in piedi istituzioni comuni. La nostra Costituzione già nel 1948 offriva la disponibilità dell’Italia a cedere porzioni della sua sovranità a favore di istituzioni internazionali capaci di assicurare la pace e lo sviluppo delle nazioni.

L’Europa era distrutta materialmente e moralmente. L’Europa nei secoli recenti aveva indicato al mondo la via della libertà di pensiero e di espressione, della libertà religiosa, della libertà di associazione, della tolleranza e del rispetto delle persone. Ma poi aveva prodotto i fascismi e il nazismo. I Paesi d’Europa rimasti dall’altra parte della Cortina di Ferro erano costretti nel comunismo sovietico. La ricostruzione dunque doveva certo riguardare l’economia, ma anche la democrazia, i diritti umani, le libertà fondamentali. La pace, bene supremo, avrebbe potuto realizzarsi solo se entrambi i campi di azione fossero stati curati. Al primo venne destinato l’insieme delle Comunità europee che sono ora raccolte nella Unione europea, al secondo doveva dedicarsi il Consiglio d’Europa. A quest’ultimo venne confidato il compito di promuovere la democrazia e i diritti umani, con l’azione culturale e politica e attraverso l’opera della Corte europea dei diritti umani.

L’influenza di quest’ultima sull’armonizzazione e la protezione dei diritti in Europa è stata ed è profonda, anche se qualche volta è accolta con irritazione da chi rilutta a seguire il movimento europeo verso il maggior rispetto dei diritti e delle libertà di ciascuno. Ora la dimensione delle libertà economiche – inizialmente riassunte in quelle di movimento in Europa dei lavoratori, delle merci, dei capitali e dei servizi – ha incontrato inevitabilmente quella delle libertà civili e politiche e quella dei diritti sociali. L’Unione europea non è più solo strumento di un mercato comune europeo. Essa nei suoi trattati fondativi e nelle sue istituzioni protegge la sicurezza dei suoi cittadini, i loro diritti e le loro libertà in tutta la vasta area dell’Unione. E i cittadini dei 28 Paesi dell’Unione sono anche cittadini europei.

Se ora in Italia il Parlamento modifica la legge sul divorzio, semplificandone e abbreviandone la procedura, è perché non possiamo rimanere isolati dall’Europa in cui viviamo. Se i diritti delle coppie che devono procreare con l’aiuto della scienza medica vengono ora assicurati anche in Italia, è perché non regge l’imposizione di divieti in una Europa che conosce la libertà. Se ora anche in Italia i figli, tutti i figli, comunque nati, sono eguali, è perché le discriminazioni non sono ammesse in Europa. Se i criminali che ignorano le frontiere possono essere ricercati e perseguiti efficacemente in Europa, è perché i Paesi dell’Unione collaborano e riconoscono reciprocamente le sentenze dei loro giudici. Se l’Italia dovrà adattarsi a regolare le discariche dei rifiuti in modo da non danneggiare la salute delle persone, è perché la salute in Europa è bene comune e l’Unione impone sanzioni ai governi che non se ne curano. Se, quando necessario, è possibile farsi curare in Europa nei servizi sanitari pubblici di altri Paesi, è perché vi sono accordi europei che lo consentono. La lista può continuare e certo si arricchirà in futuro se all’Unione si chiederà di aumentare l’integrazione e rafforzare le politiche comuni. Un tema urgente e grave è quello della gestione delle immigrazioni dall’esterno dell’Unione. Ma c’è contraddizione in chi accusa l’Unione di non fare abbastanza e di lasciar sola l’Italia (e la Spagna, e la Grecia) e al tempo stesso fa crescere idee di abbandono dell’Unione e di isolamento nazionale. L’Italia può pensare di affrontare da sola simili epocali movimenti di popolazioni?

Ora, proprio a partire dalle prossime elezioni europee, il Parlamento dell’Unione vedrà i propri poteri di iniziativa e decisione aumentati rispetto a quelli restanti dei singoli governi. La sua composizione è dunque più importante di prima e sarà determinante il conflitto tra i gruppi che vogliono andare avanti e quelli che vogliono abbandonare il disegno grandioso della federazione dell’Europa.

La libertà di movimento nell’Unione non è solo una comodità, né riguarda solo la libertà di viaggiare. Significa invece libertà di lavorare e di studiare e vivere in tutta l’Europa dell’Unione. Essa è un diritto per i cittadini dell’Unione. Quando era necessario il passaporto, la persona doveva chiederlo alle autorità del proprio Stato e doveva presentarlo a quelle dello Stato in cui voleva entrare. Doveva chiedere e poteva ricevere un rifiuto. Non aveva diritto. Ora non ci si rende nemmeno conto di attraversare le antiche frontiere. I cippi in pietra che si vedono sulle creste alpine per segnare che più oltre c’è Francia, sono ora una curiosità, ma per quei confini, che abbiamo abolito e che qualcuno vorrebbe veder rinascere, si sono combattute guerre e sono morte persone. Ricordiamocene ora che abbiamo il diritto di votare per comporre il Parlamento di noi europei.

La Stampa 20.05.14

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