attualità, politica italiana

"Smemorati e distratti", di Michele Ainis

Domani votiamo, però senza sapere bene per che cosa. Pare ci sia di mezzo il governo presieduto da Renzi: i suoi avversari (e molti suoi compagni di partito) non aspettano che un flop per buttarlo giù dal trono. Secondo altre indiscrezioni la posta in palio è invece il Quirinale: Grillo e Casaleggio sono pronti a chiamare una ditta di traslochi, se il loro movimento verrà benedetto dalle urne. Berlusconi no, lui è in una botte di ferro. Ma se perde di brutto, perde pure la legge elettorale: come fai a timbrare il ballottaggio previsto dall’Italicum, quando al ballottaggio balleranno soltanto i tuoi nemici? E il Pd, avrà ancora voglia di cambiare il Senato, se tracolla alle elezioni? Non si sa, non si capisce, anche perché c’è un tale baccano! Durante questa campagna elettorale abbiamo sentito rimbombare minacce ed improperi, chi ha evocato Stalin, chi Hitler, chi il fumo nero che saliva al cielo dalle fornaci di Auschwitz.
Eppure è proprio su Auschwitz che si vota. Perché l’Europa è nata lì, da quell’orrore senza precedenti. È nata per bandire il genocidio, e siccome il genocidio aveva celebrato la massima potenza dello Stato, l’idea europea coltivò fin dall’inizio il genocidio degli Stati. Da qui trattati e protocolli, in un processo federativo sempre più esteso, in nome d’una solidarietà sempre più stretta fra i popoli europei. Solo che, strada facendo, alla solidarietà si è sostituito l’egoismo. Davanti ai morti di Lampedusa così come rispetto alla crisi finanziaria della Grecia, l’Europa guarda altrove. Sicché i partiti antieuropei hanno buon gioco, mentre gli europeisti si trincerano in un atteggiamento puramente difensivo. Sperano così di salvare l’esistente, ma intanto hanno rinunziato a ogni progetto, a ogni utopia costituzionale.
Ecco, la Costituzione europea. C’è qualcuno che ne ha più sentito parlare? Dopo il fallimento del 2005 (quando un doppio referendum in Olanda e in Francia bocciò il testo firmato l’anno prima a Roma), questa parola è ormai tabù, vietato pronunziarla. Ed è un errore, perché gli europei non otterranno mai un’identità comune senza una Costituzione in comune. Errore doppio, perché tutta la storia dell’integrazione europea è scandita da eventi e da incidenti, da salti in avanti e da passi del gambero all’indietro. La prima doccia fredda cadde nel 1954, dopo che Francia e Italia respinsero il trattato sulla difesa comune siglato dai 6 Stati fondatori nel 1952. Ma nel 1957 venne alla luce la Comunità economica europea, capostipite di tutti gli sviluppi successivi.
Nel frattempo, tuttavia, si va modificando la Costituzione «materiale» dell’Europa. Questa volta i 300 milioni di cittadini disseminati in 28 Paesi voteranno per eleggere un leader, oltre che un parlamentare. Juncker, Schulz, Tsipras, Bové e Ska Keller, Verhofstadt: il prossimo presidente della Commissione sarà uno di loro. È l’effetto d’un accordo fra i partiti europei, che finalmente hanno cominciato a ragionare su un unico popolo europeo. Rivendicando così anche il primato democratico del Parlamento sulle altre istituzioni dell’Unione, anche se quel Parlamento è assurdamente dislocato in tre sedi (Bruxelles, Strasburgo, Lussemburgo), anche se all’Unione manca un programma fiscale comune e una politica estera condivisa. Ma non c’è via d’uscita, oggi come ieri: o tutto o niente, o l’Europa saprà guardare avanti o finirà accecata come Polifemo. E questo sguardo — lo sguardo sul futuro — prima o poi dovrà fissarsi su una Costituzione.

Il Corriere della Sera 24.05.14