attualità, politica italiana

"Il grande spreco di Capitan Beppe", di Michele Serra

Ma davvero Beppe Grillo (tirando in ballo ex post De André e il suo Maggio) crede che gli italiani abbiano votato in massa Pd perché antepongono a tutto “la sicurezza e la disciplina”, perché hanno “paura di cambiare”? Di sicurezza e di disciplina ce n’è molta di più nel suo Movimento, blindatissimo anche nelle sue propaggini internautiche, piuttosto che in quella baraonda raccogliticcia e fratricida che è il Pd .
QUANTO alla paura di cambiare è esattamente quanto può essere imputato a lui per avere dilapidato, poco più di un anno fa, un patrimonio politico formidabile e inedito, nel nome di quel ticchio stravagante (suo e di Casaleggio) secondo il quale «destra e sinistra sono la stessa cosa». Pidielle e Pidimenoelle: vi ricordate? Ora il paradigma grillino va brutalmente aggiornato. Alla luce dei risultati il Pd è, semmai, Pidipiuelle, nonché Pidipiucinquestelle.
Chieda Grillo agli analisti del voto — ammesso che ne conosca qualcuno che non ritenga venduto al nemico — quanti consensi hanno perduto, i Cinque Stelle, tra gli italiani di sinistra delusi che li avevano votati alle politiche. Troverà qualche buon indizio su quanto è costato, al suo movimento, il protervo isolazionismo sul quale si è eretto il traballante tripolarismo che da un lato ha rimesso in gioco (sia pure per poco) Berlusconi, dall’altro ha spianato la strada alla riconferma del detestato Napolitano e a quello sgorbio ancora semi-vigente che sono le “larghe intese”.
Basterebbe vivere in mezzo alla gente (anche a computer spento) e non barricati con la propria tribù, chiudere la bocca e aprire le orecchie, per capire che Renzi ha vinto per le ragioni opposte a quelle agitate da Grillo: ha vinto perché nella disperazione/depressione di una crisi di sistema, economica, politica, culturale, morale, gli si accredita — a torto o a ragione — la forza di cambiare. È un trucco? Un inganno? Lo scopriremo vivendo. Una sostanziosa percentuale degli italiani che ha votato Renzi lo ha fatto nonostante riserve e diffidenze sulla persona (vedi l’esecuzione a freddo di Enrico Letta) e sul suo pragmatismo così poco identitario, così poco seduttivo soprattutto per l’ancora numerosissimo elettorato storico della sinistra. Ma se lo hanno fatto, se cioè hanno sciolto i loro dubbi, è solo per la ragionevole spe-
ranza di vedere ripartire il motore inceppato della politica; per il sollievo innegabile di scoprire finalmente nella pagina politica dei telegiornali, e alla voce “governo”, qualche faccia di figlio/ figlia e non di padre/madre; per la speranza (l’illusione?) che l’energia di Matteo Renzi abbia veramente quegli effetti anticorporativi e “modernizzanti” che (per esempio) fanno sembrare vecchie le proteste dei tassisti, e nuove le app con le quali si prenota una macchina più facilmente e a costi minori. In una parola sola: il cambiamento. La speranza che sia ancora possibile.
È perfino superfluo dire che questa speranza può risultare fallace, o perché malriposta o perché è ormai troppo incrostato il paese, troppo debole la politica, troppo corrotto il rapporto tra società e istituzioni. Ma è del tutto evidente che è stata questa e solo questa — la volontà di cambiare — a spingere gli italiani a votare Renzi rompendo vecchi argini di appartenenza, e scommettendo sui vantaggi del post-ideologico dopo averne ampiamente pagato gli svantaggi, sotto forma di spaesamento e di disillusione.
Si capisce che per Grillo sia troppo doloroso ammettere che, alla voce “cambiamento”, un ex boy scout a capo di un vecchio partito ristrutturato in fretta e furia riscuota il doppio degli applausi di una star dello spettacolo a capo di un dirompente movimento di giovani. Ma è esattamente, precisamente quello che è accaduto. E la realtà, fino a contrordine, è ancora saldamente la sola, incontrastata padrona dei nostri destini.
Ps — Quanto a Berlinguer e De André: non sono monopolio di alcuno, se non di chi li ha amati e ancora li ama. Ogni volta che Grillo li cita, sappia che fa felici anche gli elettori di Renzi, di Tsipras o di altri, compresi gli astenuti e le schede bianche.

La Repubblica 27.05.14