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"Angela e Matteo contro Le Pen e Putin", di Gianni Riotta

Le due Europe, l’Europa dei populisti intenti a disfare l’Ue, e l’Europa che dovrà contrastarli, guidata dalla strana coppia Merkel-Renzi, non fanno in tempo a chiudere con i commenti tv e twitter che da Est si alza, acre, il fumo dei combattimenti. Si muore a Donetsk, in Ucraina, dove durante la II Guerra Mondiale – si chiamava allora Stalino – si batterono divisione Celere, Lancieri di Novara e Savoia Cavalleria.
Si parla di oltre 50 morti tra i separatisti filorussi, ma Alexandr Borodai, premier della secessionista Repubblica Popolare del Donetsk rilancia: «Le nostre perdite sono gravi, ma i lealisti han più morti».

La Storia non concede tregue. Chi si illudeva che il nuovo Parlamento – dove gli ostili alla vecchia Europa, Farange, Le Pen, Grillo, hanno un quinto dei seggi – avesse tempo per show contro il patto commerciale Usa-Ue, rilancio dei dazi e stucchevoli manfrine per eleggere il solito Juncker, sbatte subito nella guerra ai confini dell’Unione, terra di Gogol, Bulgakov, Grossman, autori europei.

A colloquio con il premier Renzi, il presidente russo Vladimir Vladimirovich Putin ha fatto il primo commento sulla battaglia di Donetsk, intimando al neo presidente ucraino, Petro Poroshenko, di fermare l’offensiva contro i ribelli. Putin arma, organizza, gestisce le rivolte nell’Est ucraino, persuaso fossero una passeggiata, bande, divise da parà, retorica «antinazista», come l’annessione della Crimea. Ma ha sbagliato i conti. Le sue milizie son restie a combattere se si spara davvero e la repressione di Kiev, vicino casa, meno inefficace. L’incapacità americana, europea e Onu di dire no a Putin, spacciata dai profeti dello status quo per «realismo davanti agli interessi russi e ai bisogni energetici europei», spesso in cambio, vedi l’ex cancelliere tedesco Schroeder, di pingui sovvenzioni Gazprom, si rivela per quel che è sempre stata, disfattismo inerte, che rinfocola la guerra in Europa, semina la zizzania del terrorismo, mettendo a rischio l’approvvigionamento del gas.

La Cina ha ben colto la fragilità di Putin, il cui fronte di attacco è troppo esteso, e gli ha imposto un contratto capestro sul gas, sancendo che Pechino conta più di Mosca. Solo, ahinoi, in Italia, la lettura del patto è opposta, vuoi per interessi o subalternità al Cremlino. La battaglia di Donetsk cancella ogni ipocrisia. Putin ha nel nuovo parlamento europeo amici, alleati, manutengoli. Il trattato commerciale Europa-America, che Mosca detesta, è avversato dai populisti, soprattutto francesi e italiani. I toni xenofobi, anti emigrazione ed Islam diffusi dal governo in Russia, sono comuni agli estremisti Ue. Marine Le Pen del Fronte Nazionale francese, Nigel Farage dell’Ukip britannico e Heinz-Christian Strache del Partito della Libertà austriaco hanno difeso l’invasione russa in Crimea. Il «Patto Le Pen-Putin» sogna un continente chiuso all’innovazione; Asia, America, Africa e globalizzazione nemici; il passato come trincea nostalgica, l’ex impero sovietico e un’Europa Strapaese, «sangue e zolla» si diceva un tempo.

Con il premier inglese Cameron e il presidente francese Hollande azzoppati alle urne, tocca inaspettatamente alla Cancelliera Angela Merkel e al Presidente Matteo Renzi difendere la libertà economica, la pace sociale e l’indipendenza in Europa. La Germania è filorussa al midollo, la Confindustria tedesca lancia proclami pro Putin, l’ex cancelliere socialdemocratico Schmidt slogan di antiamericanismo duro. Ma la Merkel, memore della gioventù in Germania Est, ha tenuto una dignitosa linea autonoma, senza cadere in grotteschi bellicismi, senza seguire il presidente Obama ciecamente, ma senza svendere la dignità europea per un metro cubo di gas. I Paesi critici con Putin, Polonia, i Baltici, la Gran Bretagna, guardano preoccupati alla mediazione con Berlino, cui, da sempre, l’Italia fa da contrappeso negativo ponendo il veto alle misure contro Mosca.

Renzi ha ribadito che l’Italia è un Paese fondatore dell’Unione, cui il risultato elettorale assegna il compito di leader alla vigilia del semestre di guida Ue. Vero. Un leader però non guarda solo all’interesse meschino di parte, uggiolando con la coda tra le gambe in attesa della ciotola. Un leader guida. Matteo Renzi può guidare l’Ue d’intesa con la signora Merkel, senza mettere a rischio gli interessi nazionali italiani – dopo il diktat cinese, l’Europa è il solo cliente per il gas russo, Putin ha perso l’arma delle sanzioni – ma eliminando la dialettica negativa «Filorussi-Antirussi». Può spingere, tarati bene i dettagli, la firma del patto economico Usa-Ue, può forzare Poroshenko a chiudere l’escalation e fronteggiare corruzione e neonazisti, ma al tempo stesso chiarire a Putin che non può insinuarsi nelle divisioni dell’Europa democratica e deve fermarsi. Poi si possono trattare neutralità, convivenza e sussidi per l’Ucraina, rassicurando i popoli confinanti.

L’audacia nelle primarie Pd, nella staffetta di governo, in Parlamento e alle elezioni europee, ha dato a Renzi un 40% che la Dc ottenne solo nel 1948 e 1958, costruendo su quei successi due generazioni di governo. Un’Italia non più «filorussa ad ogni costo», un’Italia «europea», capace di dar forza e consiglio alla Germania, farebbe di Renzi qualcosa di più di un brillante leader di partito e promettente premier, gli indicherebbe la strada verso una condotta da statista europeo.

La Stampa 28.05.14