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"Il patto con gli elettori vale più delle prescrizioni di Bruxelles", da L'Unità

Bocciatura scongiurata. Il governo valorizza il bicchiere mezzo pieno e guarda avanti, alla nuova Commissione Ue che dovrà insediarsi a Bruxelles il prossimo autunno. E questo anche se quella attuale, come spiegano da Palazzo Chigi, «per la prima volta ha esaminato l’esecutivo Renzi e ne ha accolto l’impostazione». Il dato politico – «viene confermato il nostro percorso di riforme», commenta il sottosegretario Sandro Gozi – giustifica l’attesa del responso di ieri che il premier ha vissuto «senza particolari timori». Il Def passa l’esame, anche se il braccio di ferro tra commissari traspare dal gioco dei giudizi e delle raccomandazioni. Lo stesso vice presidente Olli Rhen, non tenero di solito con il nostro Paese, rileva il rinnovato clima di fiducia nei confronti dell’Italia, pur ribadendo la necessità che Roma mantenga la continuità nel consolidamento di bilancio e intervenga sul debito pubblico. Un rinvio a settembre più che una promozione, si dice. In altri contesti, probabilmente, la Commissione avrebbe comminato una bocciatura, la stessa che evoca Renato Brunetta forzando ad arte il responso europeo di ieri. Tra i commissari, tuttavia, anche le posizioni più rigide non potevano spingersi fino a decretare l’avvio di una procedura d’infrazione a carico del nostro Paese. Alla vigilia della presidenza italiana del semestre europeo, con un premier rafforzato dal voto, leader di un Partito democratico che tra l’altro primeggia in Europa, gli iper rigoristi di una Commissione in scadenza avevano a disposizione pochi argomenti per condurre alle estreme conseguenze le loro posizioni. Gli sforzi aggiuntivi che le raccomandazioni richiedono (c’è chi le traduce con la richiesta di una nuova manovra economica)? «Non c’è nessuno sforzo aggiuntivo da fare – sottolinea Gozi, che detiene la delega per le politiche europee – Siamo consapevoli che il debito pubblico è alto. La strada migliore per ridurlo è quella che indichiamo nel Documento economico e finanziario e che viene giudicata positivamente dalla stessa Commissione. Dobbiamo fare le riforme, quindi. Perché le avevamo promesse agli italiani e non perché ce le prescrive Bruxelles». L’atteggiamento generale è del dover prendere atto dell’ultimo strascico di un’altra era, la stessa che il voto europeo di maggio ha teso a superare. Il governo non ha alcun interesse ad entrare in polemica «con il passato». Il Commissario europeo per gli Affari economici e monetari, Olli Rhen, tra l’altro, è stato eletto in Finlandia al Parlamento europeo e già ai primi di luglio dovrà optare per Strasburgo lasciando il cosiddetto “governo” dell’Unione. «Più che raccomandazioni sembrano compiti per le vacanze», ironizza il pd Rughetti. «La Commissione europea si conferma completamente impermeabile ai dati di realtà – rincara Stefano Fassina – Continua a raccomandare austerità e svalutazione del lavoro». Dalla maggioranza rimbalzano le polemiche nei confronti di Bruxelles, le stesse che il governo non intende rilanciare. Palazzo Chigi valorizza l’ok sulle riforme e smorza l’eco dei paletti, delle condizioni e della richiesta di nuovi sacrifici che arriva da Bruxelles. Questo mentre punta tutte le carte sul futuro ormai prossimo e sui nuovi equilibri che possono favorire quella flessibilità che l’Italia chiede per avviare già dalla legge di stabilità una politica di crescita e non di sacrifici. Questa la vera sfida. E in mancanza di nuove logiche Ue sarà difficile per il presidente del Consiglio dare risposte agli elettori che lo hanno premiato e chiedono risposte sul piano economico e sociale. Nuovi equilibri a livello europeo, quindi e una Commissione che «cambi verso» all’Unione. E nelle trattative sulle nuove cariche, pur tenendo conto delle posizioni ufficiali espresse dal Pse, il leader Pd, che in campagna elettorale aveva sostenuto la candidatura Schulz per la presidenza della Commissione, non si straccerebbe le vesti se non dovesse maturare una soluzione Junker che, tra l’altro, incontra dentro il Ppe più di un ostacolo e fuori da esso veri e propri veti. «Juncker? È uno dei candidati e non il candidato», ha spiegato Renzi da Trento domenica scorsa. Se il candidato dei popolari avesse conseguito alle Europee la maggioranza assoluta, naturalmente, per lui sarebbe tutta un’altra storia.

L’Unità 03.06.14