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"Liberarsi dall’abbraccio del passato", di Francesco Manacorda

A volte, troppo spesso, ritornano. Ritornano dalle cronache degli Anni 90, come è accaduto per la coppia bipartisan Greganti-Frigerio indagata per le tangenti legate all’Expo 2015, e come è successo anche ieri per alcune figure coinvolte nella nuova inchiesta per corruzione sul Mose, il sistema che dovrebbe difendere Venezia dall’acqua alta, ma che pare averla esposta anche alle correnti tangentizie. Ritornano per affermare un insopportabile teorema – ossia che in Italia i grandi eventi facciano spesso rima con grandi tangenti – per incrinare la nostra immagine all’estero, che di certo uscirà ancora più ammaccata da questa vicenda che coinvolge una città unica al mondo, ma anche per ricordarci che c’è un abbraccio mortale della Prima Repubblica dal quale bisogna liberarsi al più presto.

Si può discutere a lungo di quanto l’ambiente che scopriamo di nuovo in questi mesi – purtroppo solo grazie alle inchieste della magistratura e non alla presenza di anticorpi nel sistema dei controlli interni – sia simile o diverso da quello della Tangentopoli degli Anni 90.

È vero, come sottolineano in molti, che vent’anni fa ci trovavamo più spesso in presenza di collettori di tangenti da convogliare poi ai partiti, mentre adesso il quadro è quello di un sistema tangentizio in «franchising» nel quale i vecchi ufficiali pagatori di partito si sono trasformati in indefiniti, ma evidentemente funzionali intermediari d’affari per imprese pronte a utilizzare i loro servizi.

Ma al di là di queste differenze evidenti resta il fatto che il fallimento della Seconda Repubblica, quella che si sarebbe dovuta sviluppare proprio dalle ceneri del sistema dei partiti crollato nel ’92, si può attribuire anche ad alcune caratteristiche sostanziali e negative della Prima Repubblica che sono andate via via peggiorando nei decenni trascorsi dalla Liberazione e che portavano verso il declino di Tangentopoli. Un’eredità fatta di pratiche clientelari e spesso corruttive, di incapacità di un’azione riformatrice e al contrario di sottomissione a un sistema paralizzante di veti incrociati che nasceva da rapporti in buona parte consociativi ha segnato – sotto il peso della crisi finanziaria ed economica – la fine di un sistema incapace appunto di cambiare.

Se una Terza Repubblica caratterizzata dall’affermazione personale di Renzi, ma anche da forti sentimenti di antipolitica – che anche ieri hanno trovato nutrimento nella rappresentazione del connubio tra affari e politica in Veneto – vuole avere la speranza di farcela, deve liberarsi da questo lungo abbraccio del passato. Il premier, che gioca la sua partita in conflitto e al tempo stesso sospinto proprio dai sentimenti diffusi di sfiducia nella classe politica tradizionale, ha già annunciato di voler scardinare alcuni elementi fondanti di questa eredità indesiderata, a partire appunto dal sistema di veti incrociati che ha bloccato molte riforme possibili negli ultimi anni.

Perché la politica possa riformarsi e riguadagnare consensi deve andare a fondo anche nel rapporto con il mondo degli affari. Non si tratta solo di condannare, come è ovvio, comportamenti illeciti sanzionabili dalla magistratura. Né di reintrodurre, come pure sarebbe assai auspicabile, una disciplina sul falso in bilancio più severa di quell’unicum planetario passato in epoca Berlusconi. E non basteranno nemmeno figure come quelle del Commissario anticorruzione previsto proprio per l’Expo. La battaglia contro la burocrazia che il premier considera uno dei punti fondamentali del suo programma può servire a snellire i processi decisionali, ma anche a non offrire troppo potere discrezionale a chi concede permessi e licenze, ad evitare che nella giungla di norme e regolamenti ci sia chi si offre a pagamento per trovare il percorso migliore e chi accetti quell’offerta. Lo chiedono quasi in contemporanea, ed è significativo, il presidente della Confindustria Giorgio Squinzi – che prende atto della gravità della situazione annunciando che nella sua associazione non c’è spazio per i corruttori – e il Procuratore aggiunto di Venezia Carlo Nordio. Processi decisionali trasparenti, pubblicità di tutti gli atti, procedure il più possibile standard sono anch’essi un modo per sfuggire all’abbraccio mortale del passato.

La Stampa 05.06.14