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"Se Farage e Le Pen arrivano da noi", di Claudio Sardo

Ci ha provato Beppe Grillo ad arrampicarsi sugli specchi, spiegando che l’alleanza con Nigel Farage è poco più di una scelta «tecnica». Come prendere un taxi a Strasburgo. Senza taxi, cioè senza entrare in un gruppo strutturato, non si ottengono incarichi nelle commissioni, non si ha accesso ai finanziamenti, non si dispone di segreterie professionalizzate. Insomma, non si tocca palla nell’Europarlamento. Il problema è che scegliere un gruppo anziché un altro è una decisione politica di primaria grandezza, destinata a incidere e a mutare la natura stessa dei Cinquestelle. Lo hanno capito bene i contestatori di Grillo, oggi numerosi all’interno del movimento, come lo ha capito chi lo spalleggia, a partire da Roberto Casaleggio. Che piaccia o meno, le opzioni europee sono sempre più parte della politica nazionale. Basti pensare al recentissimo rapporto della Commissione: se Matteo Renzi non avesse ottenuto il 40% dei voti, la pagella di Bruxelles sarebbe stata più severa per il suo governo e i conti con gli investitori esteri assai più problematici. Del resto anche chi, come Farage, intende portare il suo Paese fuori dall’Unione, sa che deve giocarsi la partita britannico-europea su tutti gli scacchieri istituzionali.

Nasce da qui l’imbarazzata e tardiva lettera di Grillo ai Verdi europei. Probabilmente è una manovra diversiva, e non una marcia indietro. Con Farage le pratiche per il «matrimonio di convenienza» sono già molto avanti. Ma la protesta interna ai Cinquestelle preoccupa il capo e rende incerto il sondaggio in rete. Farage è populista e nazionalista. Nessun dubbio che sia di destra. Semmai si può discutere se Grillo, con quel suo disprezzo per i corpi intermedi e per la democrazia rappresentativa, non sia ancora peggio di Farage, cioè più incline a una visione autoritaria. In ogni caso, benché sia stato accuratamente nascosto agli elettori, la coppia Grillo-Casaleggio cercava quell’approdo. In campagna elettorale avevamo chiesto trasparenza al M5S. Non ci hanno risposto e ora sappiamo il perché: temevano di perdere voti.

Ma la questione avrà conseguenze su tutta la politica nazionale, non solo sul M5S. La principale differenza tra Farage e i Verdi sta, infatti, proprio nella considerazione delle istituzioni dell’Unione. Non è vero che Farage è più congeniale ai Cinquestelle perché consentirà loro maggiore libertà di manovra in Parlamento. C’è un’altra più solida ragione: Farage non ha alcun interesse per la disciplina del gruppo, perché contesta in radice la democrazia europea. Per lui la democrazia è solo nazionale. A Strasburgo non ci sono vincoli di mandato (che Casaleggio vorrebbe imporre orwellianamente nel nostro Paese), dunque ovunque andranno i deputati grillini saranno liberi di votare come meglio credono. Il gruppo dei Verdi però lavora a modo suo per la democrazia europea, e dunque per la costruzione di partiti europei. Ritiene – con sintonie e affinità nelle componenti più europeiste dei popolari, dei socialisti, dei liberali – che le istituzioni comunitarie siano la leva più robusta da usare contro le tecnocrazie, la prevalenza del metodo intergovernativo e, dunque, la linea dell’austerità. Ma questo è l’opposto di ciò che pensa Grillo. Al pari di Farage, anche Grillo agita il mito nazionalista come protezione dai mercati. Altro che matrimonio di convenienza. È un indirizzo politico-strategico cruciale. Siamo davanti alla drammatica illusione di chi si oppone alle politiche economiche sbagliate dell’Europa, pensando che l’errore stia nell’idea di Europa anziché nelle politiche.

Da parte di Renzi, non ci possono essere dubbi che farà di tutto per correggere la rotta europea. È nel suo interesse, è nell’interesse dell’Italia. Certo, può sbagliare. Può non avere la forza o non trovare gli alleati sufficienti per rompere gli incastri e lo status quo. Ma giocherà la partita, sapendo che è decisiva. Non difendere l’Europa che c’è. Ma cambiare l’Europa per salvarla. Per questo una scelta radicalmente anti-europea di Grillo peserà, eccome. I Cinquestelle sono entrati in crisi, ma non è ragionevole immaginare che la loro parabola si chiuda in tempi rapidi. E, in parallelo alla deriva di Grillo, assistiamo anche alla rincorsa della Lega da parte di Forza Italia (cominciata con l’adesione ai referendum di Matteo Salvini). La Lega è partner di Marine Le Pen e diventerà sempre più organica a quel progetto, almeno fino a quando il Front National sarà così influente sulla scena francese. Anche per ragioni elettorali, Berlusconi sarà portato più a seguire Salvini che ad ascoltare Alfano.

Questo condiziona lo stesso quadro parlamentare. Per procedere nelle innovazioni e nelle riforme, Renzi dovrà sempre più liberare l’azione del suo governo e della sua maggioranza da ogni ipoteca di Berlusconi e di Grillo. Il Nuovo centrodestra è stato fin qui un alleato affidabile: lo ha dimostrato pure nel difficile passaggio dal governo Letta al governo Renzi. Ma occorre guardare al futuro per stabilizzare la legislatura. Non si possono riproporre le coalizioni coatte del Porcellum: questa è la prima, necessaria modifica da fare all’Italicum. Se Alfano fosse obbligato a sottomettersi di nuovo a Berlusconi, anche il governo sarebbe limitato. La politica dell’attenzione va poi applicata anche a sinistra, aprendo un dialogo con le forze che sono disponibili a un confronto e con chi si è ribellato all’autoritarismo grillino. Non si tratta di mutare la maggioranza, ma di allargare l’area del confronto sulle riforme importante. Ha fatto bene Nichi Vendola a incontrare sia Tsipras che Schulz. Vuole giocare un ruolo di raccordo in funzione anti-austerità. È una risposta politica molto forte a chi vuole scegliere Farage. È interesse del governo, e del Paese, non isolarla.

L’Unità 05.06.14