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"La questione morale oggi", di Claudio Sardo

Il quadro di corruzione e di complicità disegnato dall’inchiesta di Venezia fa ribollire il sangue per lo sdegno e la rabbia. Milioni di euro della comunità distratti per fini di potere o di illecito arricchimento personale, mentre il Paese si dibatte nel gorgo della crisi.
Un bubbone pestilenziale
Eppure non è accettabile trarre da questo bubbone la conclusione che la politica sia irriformabile, che le istituzioni democratiche siano divenute esse stesse un cancro, che il sistema-Paese sia ovunque marcio. Non è accettabile anzitutto perché non è vero: migliaia e migliaia di persone lottano ogni giorno per un’Italia migliore, ricoprono incarichi pubblici con dedizione e serietà, alcuni persino esponendosi a gravi rischi, animano la vita democratica con impegno gratuito, danno vita a partiti, movimenti, associazioni andando contro la corrente do- minante dell’individualismo.

Qualche populista pensa di lucrare consensi gridando che sono tutti uguali, che rubano tutti alla stessa maniera e solo una palingenesi alla fine ci libererà dalla politica. Ma questa illusione – travestita da antagonismo radicale – è in realtà la capitolazione ai corrotti. È la rinuncia alla battaglia vera. È la resa morale. Il bene e il male non sono due società separate, ma sono il conflitto che non possiamo disertare. Dobbiamo affermare la legalità e combattere la corruzione nello Stato di diritto, nella società democratica, all’interno dei partiti, nel pluralismo delle culture, nel mercato dove le imprese competono. Non possiamo rinunciare all’Expo o agli investimenti perché abbiamo scoperto il malaffare: bisogna eliminare il malaffare garantendo alla società le risorse per l’innovazione e lo sviluppo. Le macerie e il declino non ci daranno maggiore legalità. Solo valutando gli errori commessi, solo scegliendo le persone giuste e le procedure migliori si può contrastare la criminalità e anche rafforzare l’etica pubblica, lo spirito civico, la dignitosa pratica dell’amministrare in nome dell’interesse genera- le.

Se le elezioni europee sono state un derby tra paura e speranza, l’inchiesta veneziana sembra offrire l’occasione della rivincita. Alle europee ha vinto la speranza e ha perso chi ha scommesso sullo sfascio, chi pensava che nel ventre molle di una società sfiduciata prevalesse ormai lo spirito di autodistruzione. Oggi i propagandisti della paura hanno a disposizione immagini-shock: i corruttori di Tangentopoli che ricompaiono come in un film horror, la trasversalità dell’affarismo, il tradimento di chi avrebbe dovuto controllare e reprimere. Ma proprio chi crede che l’etica pubblica è condizione della politica e della democrazia deve impedire ai demagoghi di prendersi la rivincita. Anche di fronte a questa vergogna, bisogna reagire con l’impegno, il rigore, la speranza. Sì, la speranza di un’Italia migliore. Che non verrà da una bacchetta magica. L’Italia migliore passa invece da scelte serie e difficili. Anche dalla capacità di fare pulizia in casa propria. E passa dalla lotta per il cambiamento.

Abbiamo scoperto nella seconda Repubblica che non c’era una società civile buona a fronte di una politica corrotta. Anzi, spesso la corruzione veniva proprio dalla società o dall’impresa che temeva il mercato. Abbiamo visto anche che l’indebolimento dei partiti non ha ridotto la corruzione. Al tempo di Tangentopoli le mazzette erano figlie di un’occupazione partitica della società. Oggi sono la cinghia di trasmissione di potentati personali, politici e imprenditoriali: è la conseguenza del fatto che il governatore, o il sindaco, o l’assessore contano più dei rispettivi partiti, che le loro campagne elettorali sono pur sempre da finanziare, e che i partiti sfilacciati non ce la fanno a garantire un controllo sull’operato degli amministratori e a selezionare la classe dirigente.

Benché il populismo incalzi, non è una buona pratica delegittimare i partiti, azzerare il finanziamento pubblico, rinunciare all’attuazione dell’art. 49 della Costituzione sulla trasparenza e la democrazia interna. I partiti possono stimolare gli anticorpi, ovviamente a condizione che le regole di trasparenza siano diffuse su tutto lo schieramento. Invece i partiti personali sono parte della malattia, ancor più se i loro bilanci dipendono dalle elargizioni delle lobby. Dobbiamo darci al più presto norme efficaci per perseguire il falso in bilancio e l’autoriciclaggio, ma guai ad appesantire l’ordinamento con leggi iper- trofiche. La corruzione viene alimentata dall’eccesso normativo così come dai poteri emergenziali (vedi l’abuso di ordinanze della Protezione civile). La via del cambiamento va percorsa con tenacia e intelligenza. Senza rinunciare alle garanzie del diritto. Servono leggi nuove, ma ancor più serve la prevenzione, la cultura della legalità. Chi è condannato per corruzione va escluso da ogni ruolo pubblico, come anche dai futuri appalti. Occorre la riforma della pubblica amministrazione e quella della giustizia, che è ormai un buco nero del sistema. Battaglia politica, impegno culturale, democrazia trasparente e non delegata ai soli leader. È la questione morale oggi. Non possiamo consentire che si riduca a invocazione moralista o demagogica proprio nei giorni in cui ricordiamo Berlinguer. Speriamo che anche l’Autorità affidata a Raffaele Cantone aiuti il Paese a capire che per combattere la corruzione bisogna fare bene le cose ordinarie, e non affidarsi di tanto in tanto a qualcosa di straordinario.

L’Unità 08.06.14

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