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"Alla Rai quello che è della Rai", di Roberto Zaccaria

La sottrazione alla Rai dei 150 milioni dei proventi del canone operata dal governo con il decreto legge n.66 del 2014, ha aperto un dibattito enorme sulla stampa italiana intorno al servizio pubblico, alla sua funzione e alla sua riforma. Un’ulteriore amplificazione di questo dibattito è stata prodotta dall’annuncio di uno sciopero dei lavoratori per il giorno 13 giugno ed ora revocato. Dico subito che non mi sarei comunque misurato né sull’opportunità, né tanto meno sulla legittimità di questo sciopero, perché mi pare che il tema dovesse essere comunque circoscritto alle parti in causa.

Sui 150 milioni e soprattutto sul modo in cui sono stati prelevati (con effetto immediato e ad esercizio in corso) ho invece qual- cosa da dire con accenti simili a quelli usati dal direttore generale dell’Unione europea delle radiotelevisioni pubbliche e indirizzati al Presidente Napolitano, proprio in questi giorni.

Sono convinto che incidere in questo modo, anche se per sacrosante ragioni di bilancio, sulle risorse del servizio pubblico radio- televisivo sia in contrasto con i nostri principi costituzionali ed anche con quelli europei (art.10 Cedu e art.11 Carta di Nizza).

Il principio dell’indipendenza economica della RAI servizio pubblico radiotelevisivo costituisce uno dei pilastri della configurazione dei servizi pubblici secondo le regole europee, a cominciare dal Trattato di Amsterdam del 1997, e secondo i principi più volte ribaditi dalla nostra Corte costituzionale, a partire dalla famosissima sentenza n.225 del 1974 per arrivare alla sentenza n.284 del 2002, proprio in materia di canone.

L’indipendenza economica precede addirittura quella organizzativa ed anche quella dei contenuti. Inutile ricordare, in passato, le energiche reazioni dopo gli attacchi di esponenti di governo alla libertà di espressione. La situazione attuale non è meno grave. Il canone di abbonamento non rappresenta un versamento dalle casse dello Stato, ma proviene direttamente dagli utenti. Non costituisce quindi una somma della quale lo Stato può liberamente ed unilateralmente disporre. Questo comportamento è foriero di nuova evasione.

Tutta la normativa in questa materia è stata impostata secondo un principio di rigorosa concertazione, tanto è vero che alla fine degli anni 90, quando lo Stato eliminò il canone autoradio, si preoccupò di indennizzare per alcuni esercizi il bilancio della Rai per una somma corrispondente a circa 210 miliardi di lire all’anno. La stessa procedura di «aumento» del canone prevista dall’art. 47 TU della radiotelevisione prevede, a monte di quell’atto, una concertazione o quantomeno un confronto tra il Ministero e la RAI sulle entrate necessarie per coprire i costi di esercizio. L’intera procedura deve comunque concludersi prima dell’inizio del nuovo anno finanziario, in modo che sia consentito un appropriato governo del bi- lancio.

In tutta l’esperienza repubblicana ed anche in circostanze economiche molto critiche per il paese non è dato ricordare un intervento di questa natura. Altri strumenti d’intervento per lo Stato azionista della RAI sarebbero stati possibili nel rispetto delle regole che valgono per qualsiasi soggetto economico operante in regime di concorrenza. Non ricordo interventi analoghi neppure contro gli interessi economici del gruppo Mediaset.

Quello che mi convince ancora meno è il ventilato scambio tra questo prelievo ed il consenso ad alienare una parte di Ray Way, la società delle antenne, che a suo tempo il Consiglio Rai stava per cedere ad una società americana nella misura del 49 per cento e con un utile di 400 milioni di euro. Quell’operazione fu bloccata dal Ministro Gasparri – quello dell’improvvida legge che oggi governa la Rai – ma sarebbe comunque servita per consentire all’azienda nuove opportunità strategiche e non per ripianare una falla di bilancio. La vendita di quote azionarie determina un beneficio patrimoniale, mentre la sottrazione del canone incide pesantemente sul conto economico.

Lo stesso discorso potrebbe farsi con ririmento alle sedi regionali, erette ora ingiustamente ad emblema di tutti gli sprechi, dimenticando d’un colpo quanto possano essere importanti in una rinnovata strategia aziendale. Cosa impedirebbe infatti di costruire intorno a queste sedi dei centri di produzione polivalenti aperti a tutto il sistema pubblico e privato, magari con una collaborazione organica delle Regioni, anche nella forma di società partecipate.

L’unico «scambio» con i 150 milioni sarebbe possibile con la dotazione dal parte del governo di strumenti più appropriati per combattere l’evasione del canone, oggi stimata in un importo pari almeno al doppio di quella cifra. Rinvio alle parole assai appropriate di Vittorio Emiliani, su questo stesso giornale, solo per aggiungere che una riforma della Rai potrebbe prendere lo spunto proprio da questo argomento.

Nel tracciare le linee di questa riforma è però importante «dare a Cesare quel che è di Cesare». Alcune cose le dovrà fare la politica (il governo ma soprattutto il Parlamento) mentre altre le dovrà lasciar fare all’azienda ed ai suoi vertici (questo vale in particolare per le nuove linee editoriali, sul- le quali molti politici si esercitano in questi giorni).

Al governo-Parlamento si chiedono alcune cose da fare rigorosamente con legge: mettere in soffitta la pessima legge Gasparri, rinnovare la concessione, stabilire la missione, definire la «governance» e garantire un finanziamento certo. Chi pensa di poter fare tutto questo nel 2014 è ottimista, ma è bene crederci.

Lo snodo più delicato è quello della governance perché fino a questo momento nessun modello ha saputo garantire l’indi- pendenza piena dalla politica.

Io come molti sono colpito dalla disaffezione dell’opinione pubblica verso la Rai che indubbiamente risente anche del clima generale di disaffezione verso la politica.

Proprio per questo mi domando perché non si provi, nel delineare i nuovi organi di governo-Rai, a stabilire un connessione più diretta con coloro che pagano il canone. Se coloro che devono pagare questa imposta potranno dire qualcosa sulla scelta dei vertici aziendali e sui caratteri fondamentali della produzione-programmazione, forse avremo fatto un grande passo in avanti sul- la ricostituzione di un rapporto di fiducia. Coraggio! Le proposte ci sono basta portarle avanti.

L’Unità 09.06.14