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"Se Europa e Maghreb si tenessero per mano", di Tahar Bel Jelloun

Le ultime elezioni europee ci hanno fatto venire i sudori freddi, i brividi, la febbre. Partiti di estrema destra sono arrivati in testa. Quando uso la prima persona plurale, parlo di me. Ho sempre avuto paura degli estremi, sia nello sport che nella politica. L’estremo è ciò che ci avvicina alla morte, e in ogni caso flirta con il pericolo e con il sangue.
In Maghreb abbiamo osservato questa evoluzione con inquietudine. Allo stesso tempo, sappiamo che gli interessi degli europei passano avanti a quelli del Maghreb, ed è normale, perché nessun Paese del Nord Africa fa parte dell’Europa. Eppure questa Europa si è ingrandita. Ha acquisito peso, soprattutto a Est. Certi sostengono che avrebbe perduto un po’ della sua anima, in quell’Est tormentato da tante guerre e divisioni. Al Sud ha i suoi piedi, dei graziosi piedi ben curati, dei piedi che si bagnano nel Mediterraneo, proprio di fronte alle coste del Marocco. Quattordici chilometri soltanto separano i due continenti. Da Tangeri, la sera, si vedono le luci delle case lampeggiare, come se ci invitassero a fare la traversata. Qualcuno ci crede e sale su imbarcazioni improvvisate, e a volte annega prima ancora di arrivare sulle spiagge di Almería o di Tarifa. I piedi dell’Europa nelle acque dello stretto di Gibilterra sollevano onde. La cosa ci diverte, diciamo così. È una metafora. Ci sarebbe piaciuto molto divertirci insieme, suonare, ridere, ballare, insomma vivere insieme. Non vi spaventate! Non parlo di condividere la stessa casa, lo stesso bagno. No, solo che ci sia un posticino per noi, una poltrona, una sedia, anche solo uno strapuntino. Non ce l’abbiamo. Eppure vi amiamo. Vi osserviamo con il binocolo di giorno e di notte. A forza di farlo siamo diventati dei voyeur, dei maniaci. Quello che proviamo per voi è amore. Non un amore folle, ma qualcosa che gli rassomiglia. Non vi preoccupate, non intendiamo invadervi, no, vorremmo scrivere una storia insieme, una bella storia che racconti ai nostri figli e nipoti com’era l’Europa della solidarietà prima di disperdersi in tanti pezzi. Disegneremo insieme una grande cartina geografica dove ci sarà posto per tutti, anche per quelli che ufficialmente non fanno parte della vostra Unione. È un sogno, un’utopia. Perché no? Ah, dimenticavo: la Turchia ha voltato le spalle all’Europa, il suo orgoglio non ha sopportato che certe voci si alzassero a chiedere che le fosse vietato l’ingresso. Eppure che bella avventura sarebbe stata! Ma c’è l’islam. Fa paura. Lo so. La Turchia è laica, ma come ha detto un dirigente europeo, «non se ne parla di introdurre in Europa 75 milioni di musulmani », sottintendendo che ce ne sono già abbastanza così. Un ex presidente della Repubblica è stato più chiaro: «La sua integrazione la fine dell’Europa ». Non parliamone più, è meglio. La Turchia è un grande Paese, una bella civiltà. Ma se non ne volete sapere, non si metterà in ginocchio per supplicarvi. Penso che avrebbe perfino riconosciuto il genocidio degli armeni.
Guardate in che stato è il mondo arabo in questo momento: solo il Marocco e la Tunisia sembrano passarsela bene. Gli altri sono sclerotizzati e immobili, oppure alle prese con guerre sempre più atroci: penso alla Siria, all’Iraq, allo Yemen, al Sudan e così via.
Ecco che l’Europa e il Maghreb sono presi di mira da un nemico comune. Finalmente qualcosa che ci riunisce! Ci daremo la mano e faremo un pezzo di strada insieme. Ci sarebbe piaciuto che a unirci fossero dei progetti culturali, di civiltà, dei ponti gettati dall’una all’altra riva del Mediterraneo. No, quello che ci preoccupa tutti in questo momento è la minaccia del terrorismo jihadista, una sorta di fascismo con una spruzzata di religiosità, la cui azione si inscrive nella peggiore delle barbarie, contro il sapere e il progresso, contro la fratellanza e la solidarietà, un fascismo di tipo nuovo la cui principale attività consiste nel distruggere, massacrare e seminare la paura deturpando l’islam e la storia degli arabi. Appena trent’anni fa, i mass media non parlavano di islam, e ancor meno di islamofobia, perché nessuno aveva paura di questa religione monoteista come il giudaismo e il cristianesimo. Con la rivoluzione iraniana e l’apparizione mediatica di Khomeini, nel 1979, l’Occidente fu preso dall’inquietudine. La faccenda si aggraverà ancora di più e l’ideologia totalitaria dell’islamismo radicale troverà orecchie molto attente tra i giovani europei figli di immigrati.
Invece dei ministri della cultura, a Bruxelles si riuniscono i ministri dell’Interno del Maghreb e dei Paesi europei, per coniugare i loro sforzi e scambiarsi informazioni, con l’obbiettivo di lottare efficacemente contro questo terrorismo che affascina così tanti giovani europei. Prima, quegli stessi ministri dell’Interno si riunivano per studiare il problema dell’immigrazione clandestina, quella che sbarca sulle coste di Lampedusa e che ogni volta precipita il mondo in una disignificherebbe sperazione ancora più grande.
Sì, ci sono i drammi di Lampedusa, c’è l’indifferenza della maggior parte degli Stati europei e maghrebini. Tra il Marocco e la Spagna, gli sforzi comuni sembrano riuscire a limitare queste traversate della disgrazia. Ma l’Italia è lasciata sola ad affrontare queste maree umane che vengono da lontano, dai Paesi subsahariani. Le guerre costringono milioni di famiglie a partire. Oggi l’Europa che non ha saputo o potuto venire in aiuto del popolo siriano, massacrato tanto da Bashar al-Assad, sostenuto inflessibilmente dal signor Putin, che dai guerriglieri jihadisti, dovrebbe almeno dare asilo a queste famiglie straziate. Lo so, non è facile né semplice. Ma i risultati delle ultime elezioni europee non incoraggiano i governi ad aprirsi maggiormente e accogliere quelle persone cacciate dal loro Paese dal crimine di Stato. L’Europa ha bisogno di recuperare se stessa, di ripensare la propria storia e scommettere sulle sfide del futuro. Come dice il poeta italiano Roberto Veracini: «Se è vero/ che quando tutto intorno è oscuro, gli occhi/ cominciano a vedere, ora io vedo/ benissimo… ». Io auguro alla presidenza italiana dell’Europa, che comincia il prossimo 1° luglio, di vedere benissimo e che da questa luce nasca un po’ di pace in questo Mediterraneo che amiamo e che a volte ci fa venire l’emicrania.
Testo del discorso tenuto ieri a Montecitorio (Traduzione di Fabio Galimberti)

La Repubblica 26.06.14