attualità, partito democratico, politica italiana

"La riforma (e le obiezioni) ai raggi X", di Marco Bresolin

Domani inizieranno le votazioni sul ddl che modifica la Costituzione. I tempi stringono e restano molte resistenze: avrà l’ok entro la pausa estiva?

Si riparte domani, con le prime votazioni sul disegno di legge sulle Riforme licenziato dalla commissione Affari Costituzionali (che ha apportato modifiche significative al testo del governo). In Senato gli emendamenti arrivati sono quasi ottomila e la prima sfida, dunque, è contro il tempo. La maggioranza vuole fare presto e chiudere la partita nel giro di un paio di settimane, anche perché si rischia un ingorgo con altri decreti in scadenza che devono essere approvati. Ma non sarà semplice. Il perché sta scritto (anche) nel Mattinale di Forza Italia, che chiede più «serenità». Al di là del termine tanto caro a Renzi (e un po’ meno a Letta), il messaggio che arriva dal centrodestra è chiaro: il Patto del Nazareno resta in piedi, ma «dobbiamo considerare senza ansie il merito di emendamenti e proposte migliorative. Non è ammesso alcun tipo di frettolosità sudamericana, né contingentamento di tempi, né ghigliottine». Poi ci sono le fronde interne ai partiti della maggioranza, che su alcuni punti non intendono cedere. E questo è solo il primo passaggio (su quattro) per cambiare la Costituzione. Non sarà un percorso breve.

Addio al bicameralismo perfetto. Braccio di ferro sull’elezione indiretta
Il Senato così come lo conosciamo oggi non esisterà più. I 315 membri di Palazzo Madama, eletti direttamente dai cittadini, verranno sostituiti da 100 senatori: 5 nominati dal Presidente della Repubblica, 95 espressione delle autonomie territoriali. Tra questi, 21 sindaci e 74 consiglieri eletti dai Consigli regionali con metodo proporzionale (tutte ne avranno almeno due). Non percepiranno un’indennità, ma continueranno a godere dell’immunità parlamentare riservata ai deputati. Ma cosa farà il nuovo Senato? Molto meno di quello attuale, visto che di fatto scompare il bicameralismo perfetto. Per esempio non voterà più la fiducia e non avrà competenza sulle leggi ordinarie, ma continuerà a legiferare su riforme costituzionali, leggi costituzionali, leggi elettorali degli enti locali e ratifiche dei trattati internazionali. Quando la Camera approverà una legge, il Senato potrà «proporre» delle modifiche. Anche per la legge di bilancio, ma le proposte non saranno vincolanti. Tra le novità in campo legislativo, c’è la possibilità per il governo di istituire una corsia preferenziale per alcuni provvedimenti considerati prioritari: la Camera dovrà approvarli entro 60 giorni (dopodiché non potrà più apportare modifiche). Questo dovrebbe ridurre la decretazione d’urgenza. Stop anche ai decreti omnibus.
I PUNTI CONTESTATI
Questa è la parte della riforma più sostanziosa, ma anche la più contestata. C’è un fronte trasversale che vuole l’elezione diretta dei senatori, altri chiedono di abolire l’immunità per i 100. Altri ancora vogliono ridurre i deputati (fino a 500) per riequilibrare il rapporto eletti-elettori e per evitare un peso eccessivo della Camera nell’elezione del Presidente della Repubblica. E poi c’è chi, come il presidente dell’Anci Fassino, avverte: 21 sindaci sono troppo pochi.

Per l’elezione del Presidente della Repubblica. Maggioranza assoluta solo dal nono scrutinio
Con la modifica dell’articolo 83 della Costituzione, cambia il metodo di elezione del Presidente della Repubblica. Oggi viene eletto dal Parlamento in seduta comune: ai deputati e ai senatori si aggiungono 58 delegati regionali. La riforma prevede la loro eliminazione: a partecipare al voto saranno solo i 730 parlamentari. Modificato anche il quorum: se prima erano necessari i due terzi nelle prime tre votazioni e dalla quarta bastava la maggioranza assoluta, ora serviranno i due terzi (67%) nei primi quattro scrutini, i tre quinti (60%) fino all’ottavo scrutinio e soltanto dal nono basterà la maggioranza assoluta. Piccola modifica ai poteri del Presidente: potrà rinviare al Parlamento anche soltanto una parte di una legge.
I PUNTI CONTESTATI
Visto il maggior peso della Camera sul Senato (630 contro 100), c’è il rischio che la maggioranza alla Camera si elegga un suo Capo dello Stato, rendendo superflui i senatori. Per questo, nonostante la modifica del quorum, restano i malumori. E c’è anche chi, come Casini, propone: senza maggioranza nei primi tre scrutini, il Presidente deve essere eletto direttamente dai cittadini.

Crescono le firme per i referendum. Ma si abbassa il quorum
Una delle novità più consistenti riguarda le consultazioni popolari. La modifica dell’articolo 75 eleva a 800 mila (oggi ne bastano 500 mila) le firme necessarie per proporre un referendum abrogativo. In compenso scende il quorum: fino a oggi era necessaria la partecipazione della metà più uno degli elettori. Quando il ddl verrà definitivamente approvato basterà che alle urne si rechi il 50% più dei votanti all’ultima elezione per la Camera. Altra novità: i quesiti non potranno più riguardare l’abrogazione «parziale» di una legge, ma solo l’intero testo (o un solo articolo purché questo abbia un valore normativo autonomo). Cresce anche il numero delle firme necessarie per le leggi di iniziativa popolare: da 50 mila a 250 mila.
I PUNTI CONTESTATI
Per i Radicali, l’elevato numero di firme è «la morte dei referendum». Il divieto generalizzato di referendum manipolativi, quelli che modificano solo una parte di una legge, rischia inoltre di escludere dalle consultazioni popolari le leggi elettorali. La Lega ha chiesto di introdurre i referendum propositivi, come in Svizzera, e pure quelli sui temi legati all’Unione Europea. Diversamente voterà contro.

Ridefinite le competenze tra lo Stato e le Regioni
Oltre ad abolire il Cnel (Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro), la riforma cancella definitivamente dalla Costituzione le Province, che già oggi sono state svuotate dei loro poteri. Ma l’intervento più importante è sull’articolo 117 che, di fatto, elimina le materie di competenza legislativa concorrente tra lo Stato e le Regioni, riducendo la possibilità di ricorsi tra l’amministrazione centrale e quelle locali. Saranno di competenza esclusiva dello Stato materie come ambiente, beni culturali, turismo, scuola, governo del territorio, protezione civile, energie, infrastrutture strategiche e grandi reti. Le Regioni si occuperanno di servizi sanitari e sociali, sviluppo economico locale, istruzione locale e formazione al lavoro, promozione del diritto allo studio, mobilità locale, disciplina regionale di attività culturali e turistiche. Comuni, Città Metropolitane e Regioni avranno risorse autonome ma le dovranno gestire «sulla base di indicatori di costo», i cosiddetti costi standard.
I PUNTI CONTESTATI
Alcune associazioni ambientaliste hanno criticato il testo, sostenendo che su temi ambientali la competenza resta concorrente, con il rischio di molti ricorsi.

Con l’Italicum il vincitore è assicurato. Ma resta da sciogliere il nodo preferenze
La legge elettorale non fa parte del ddl sulle Riforme attualmente in discussione al Senato, ma i due provvedimenti sono legati a doppio filo. Per questo ne parliamo qui, anche perché l’Italicum è già stato approvato dalla Camera, ma è facile prevedere che il passaggio a Palazzo Madama non sarà indolore. Il testo prevede una legge elettorale proporzionale con una forte correzione maggioritaria: la prima coalizione (o il partito) che supera il 37%, ottiene un premio di maggioranza che le assegna 340 seggi. Se nessuno arriva a tale soglia, si va al ballottaggio tra le prime due coalizione: chi vince prende 321 seggi. Esistono soglie di sbarramento: 12% per le coalizioni, 8% per le singole liste, 4,5% per le liste in coalizione. Non esistono le preferenze: i deputati (perché l’Italicum si applica solo alla Camera) sono eletti in mini-listini bloccati nei 120 collegi.
I PUNTI CONTESTATI
I partiti più piccoli premono per abbassare le soglie di sbarramento, mentre quella per il premio di maggioranza potrebbe essere rivista al rialzo. Dibattito aperto anche sull’introduzione delle preferenze, come richiesto dal M5S e dalla minoranza del Pd.

da www.lastampa.it