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"L’armadio della vergogna: settant’anni fa la strage impunita di Sant’Anna di Stazzema", di Gabriele Scarparo

Verità a lungo nascoste, processi troppo spesso negati, memorie alterate e discussioni storiografiche sacrificate al cospetto della realpolitik hanno privato l’Italia di un normale processo di elaborazione del lutto nazionale

A Sant’Anna di Stazzema, in provincia di Lucca, la mattina del 12 agosto 1944 si consumò un orribile eccidio di civili ad opera dell’occupante tedesco, secondo solo, per numero delle vittime, a quello di Monte Sole. In poche ore tre reparti della XVI SS Panzergrenadier Division circondarono le località limitrofe, risalendo fino allo spiazzo principale del paese dove sorgeva la chiesa, lasciandosi alle spalle una scia di morte, sangue e fiamme; un quarto reparto rimase nelle retrovie, impedendo di fatto ogni via di fuga. La scure nazista si abbattè improvvisa e implacabile, tanto sugli uomini quanto sulle donne e i bambini: in pochi riuscirono a salvarsi da quell’inferno.

Verosimilmente Sant’Anna fu oggetto di una strategia terroristica volta a fare terra bruciata intorno al campo d’azione dell’esercito nazista, impedendo in questo modo la prosecuzione di qualsiasi resistenza armata contro i tedeschi. Fu una delle più tristi pagine della «guerra ai civili» messa in atto da Hitler e dal feldmaresciallo Kesselring, all’epoca comandante di tutte le forze germaniche in Italia.

Quel giorno furono trucidate 560 persone (questa almeno è la cifra accettata dall’opinione pubblica, nonostante persistano notevoli dubbi considerato che un concreto lavoro di spoglio e incrocio delle fonti ancora non è stato fatto); la più piccola delle vittime aveva appena venti giorni. Molti civili trovarono la morte di fronte la chiesa del paese, in quello che è oggi l’episodio simbolo dell’eccidio. Secondo le testimonianze emerse solo in tempi recenti, come quella dell’ex SS Adolf Beckerth, alle persone radunate nel piazzale fu intimato di indicare la posizione dei partigiani che oggi sappiamo non fossero più nella zona già da svariati giorni. Allo scadere dell’ultimatum tutti i presenti, per lo più anziani, donne e bambini furono mitragliati e poi dati alle fiamme in una macabra pira alimentata dai mobili prelevati dalla vicina chiesa.

La sera stessa dell’eccidio, l’Ufficio Informazioni della XIV Armata tedesca redasse il bollettino con l’elenco delle operazioni condotte durante il mattino a Sant’Anna di Stazzema. La grigia burocrazia di guerra tedesca sintetizzò più di tre ore di massacro in poche righe nelle quali fu dichirato che nel paese ridotto in cenere erano stati trovati e distrutti sette depositi di munizioni, uno dei quali nella chiesa, ed eliminati 270 «banditi». Circa un mese dopo, quando gli Alleati giunsero a Sant’Anna, trovarono ancora centinaia di resti di cadaveri carbonizzati. Partì una prima indagine che portò alla compilazione di un dettagliato rapporto in cui furono raccolte le importanti testimonianze dei sopravvissuti italiani e dei disertori tedeschi.

Si giunse anche a identificare con certezza il reparto autore della strage ovvero il II battaglione del 35° reggimento della XVI SS Panzergrenadier Division, in cui era molto alta la presenza di giovani tra i diciotto e i vent’anni. Un anno dopo l’incartamento fu inviato alle autorità italiane che aprirono un fascicolo, il 2163 del Registro generale della Procura militare, in cui confluirono i risultati dell’inchiesta statunitense.

L’eccidio di Sant’Anna finì tra i capi d’accusa contro il generale Max Simon, il comandante della XVI Divisione SS, responsabile tra gli altri del massacro di Marzabotto. Il Tribunale Militare britannico di Padova, nel giugno del 1947, condannò a morte l’ex ufficiale nazista. Tuttavia, come accadde per molti altri criminali nazisti, la pena venne commutata prima in ergastolo e poi definitivamente cancellata, cosicché anche Simon fu libero di tornare a casa. Durante il processo sembrò emergere anche la responsabilità del maggiore delle SS Walter Reder, ma le prove a suo carico erano deboli e per questo assolto per non aver commesso il fatto (fu invece condannato per la strage di Monte Sole).

A quel punto anche per Sant’Anna di Stazzema si aprirono per poi richiudersi immediatamente le porte dell’Armadio della vergogna, rinvenuto nel 1944 a Roma nei locali della Procura Generale Militare, in cui per quasi cinquant’anni furono occultati 695 fascicoli su cui erano annotati i nomi delle vittime, quelli degli assassini e le località di numerosi eccidi nazisti tra cui quelli di Monte Sole, delle Fosse Ardeatine, e appunto di Sant’Anna di Stazzema. Questi incartamenti, rinvenuti casualmente, furono prodotti, all’epoca della guerra e nei mesi successivi ad essa, dagli Alleati e dalla polizia italiana che raccolsero le denunce presentate dai parenti delle vittime, integrandole poi con accertamenti e istruttorie sommarie. L’attività giudiziaria, inizialmente frenetica, cominciò presto ad affievolirsi e quando i fascicoli furono consegnati alle autorità italiane, queste occultarono le prove nascondendole in un armadio con le ante rivolte verso il muro.

Nel mondo suddiviso in due blocchi che cominciava a delinearsi nell’immediato dopoguerra, si preferì tacere i crimini commessi dal nazismo per non turbare i rapporti con la nuova Germania federale che avrebbe dovuto costituire il fondamentale baluardo contro l’Unione Sovietica. Sullo sfondo dell’impellente scenario storico disegnato dalla Guerra fredda, le popolazioni vittime delle stragi tedesche si trovarono a dover pagare il prezzo per il reintegro della Germania e del suo esercito nella Nato: l’impunità dei criminali nazisti. Scomparvero così anche i fascicoli della strage di Sant’Anna.

Quell’armadio è il simbolo di una «cultura della vergogna» e di un’alterata politica della memoria che rende conto delle difficoltà da parte italiana, in parte ancora ai giorni nostri, di affrontare il proprio passato con distaccato occhio critico. Eppure c’è di mezzo il sangue di migliaia di innocenti, di moltissime donne e bambini che pagarono più di chiunque altro quella che fu a tutti gli effetti una sistematica guerra ai civili.

Nel 1996, grazie anche alle richieste sel Comune di Stazzema e del Comitato per le Onoranze ai Martiri di Sant’Anna, la Procura militare di La Spezia riaprì le indagini sull’eccidio che si conclusero nove anni più tardi. Il 22 giugno del 2005 dieci tra ex ufficiali e sottoufficiali nazisti vennero condannati all’ergastolo per aver preso parte al massacro. La pena anche in questo caso non fu scontata dagli imputati perché due anni più tardi il Tribunale di Stoccarda archiviò l’inchiesta per insufficienza di prove.

Verità a lungo nascoste, processi troppo spesso negati, memorie alterate e discussioni storiografiche sacrificate al cospetto della realpolitik hanno privato per Sant’Anna di Stazzema e per altre stragi di civili in Italia un normale processo di elaborazione del lutto nazionale. Cosicchè quello che è stato frettolosamente occultato nelle pieghe della storia e riemerso tardivamente è attualmente fonte di nuovi odi e vecchi rancori. Ci troviamo oggi, settant’anni dopo, a fare ancora i conti con il nostro passato.

da www.europaquotidino.it