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Chi ascolta le voci della scuola? – Manuela Ghizzoni

Oggi i quotidiani dedicano ampio spazio alla riforma della scuola. Poiché l’annuncio è stato dato ieri dalla ministra Giannini solo per titoli, che si sommano a quelli pronunciati da Renzi il giorno precedente, i resoconti giornalistici sono diventati un florilegio di ipotesi e retroscena. Poca informazione quindi (e come potrebbe essere diversamente dato che un testo nero su bianco non c’è), ma tante illazioni (il numero dei verbi al condizionale raggiunge infatti vette da primato!). Pertanto non è sulla riforma “rivoluzionaria” che voglio soffermarmi. Non mancherà l’occasione dopo il 29, a carte scoperte, quando sapremo esattamente quali strumenti il governo metterà in campo per valorizzare la professione docente. Magari si potrebbe iniziare basando gli apprendimenti dei ragazzi sulle competenze, o dando gambe all’autonomia delle istituzioni scolastiche, o magari “liberando” quel personale della scuola che per un mero errore della riforma Fornero si appresta ad iniziare un altro anno scolastico, sempre che il 29 non venga varato un decreto ad hoc come richiesto da tanti dopo il dietro front nel DL Madia.
Mi soffermo, invece, sul fatto che a fronte di tante, troppe riforme (epocali o rivoluzionarie) settembrine non si senta:
a) la necessità di valutare gli esiti ex post di tali interventi;
b) il bisogno di ascoltare il complesso, variegato e fecondo mondo della scuola.
Dal primo punto (generato dalla nostra estraneità culturale e politica alla valutazione come metodo per governare i fenomeni) deriva la rincorsa a riforme susseguenti e affannose: ma se non si sa come stanno esattamente le cose, come si può pretendere di modificarle per migliorarle? Del secondo punto si parla dai tempi della Moratti, ma gli stati generali di allora nulla avevano a che fare con un ascolto vero della scuola. Anche i fecondi tavoli istituiti dall’attuale ministra non possono essere sostitutivi di una spazio di confronto reale con chi nella scuola ci studia, ci lavora o ci fa ricerca. Stamattina ho potuto ascoltare le telefonate del pubblico che seguono la rassegna stampa di Radiotre: molte di esse erano dedicate alla riforma della scuola e venivano da docenti, da genitori, da esperti (mancava la voce degli studenti, che a quell’ora probabilmente si godono gli scampoli delle vacanze estive). Insieme hanno rappresentato un ventaglio colorato e ampio di riflessioni appassionate, meditate, propositive. Una bella lezione per la politica che ha voglia di ascoltare. Appunto, c’è questa voglia? Me lo auguro, perché il rischio, in caso contrario, sarebbe l’ennesimo provvedimento calato dall’alto, che non aderisce alla complessa situazione della scuola italiana. Nel 1946, quando cioè la sfida era costruire il sistema scolastico repubblicano, l’allora ministro Gonella coinvolse tutte le scuole inviando un questionario. Dall’esito di quella interlocuzione uscirono vere riforme epocali, come quella della diffusione capillare della scuola elementare statale (in progressiva sostituzione di quella popolare) e quella successiva che istituì le medie in sostituzione delle scuole di avviamento. Guardare al passato, come in questo caso, non è operazione nostalgica, ma è farsi accompagnare dalla nottola di Minerva.

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