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"Ciò che sappiamo di Piazza Fontana", di Benedetta Tobagi – La Repubblica 12.12.14

piazza fontana
Manca poco a Natale. A Milano, nella filiale della Banca Nazionale dell’Agricoltura di piazza Fontana — in pieno centro, proprio dietro al Duomo — come ogni venerdì pomeriggio si stanno svolgendo le contrattazioni tra agricoltori e allevatori giunti dalle campagne lombarde.
Alle 16.37, una bomba esplode e trasforma il salone circolare della banca nell’inferno. Uccide 17 persone, ne ferisce un centinaio. Era il 12 dicembre 1969, quarantacinque anni fa. La prima grande strage accade quando la Repubblica italiana è appena 23enne, una ragazza con molte ingenuità, moltissime speranze e le spalle gravate dal peso dell’eredità del Ventennio fascista a soffocarne gli slanci: poliziotti, magistrati, questori, burocrati ministeriali…gli apparati dello Stato sono ancora innervati di uomini del vecchio regime. È l’inizio di una lunga stagione di terrorismi. Fino al 1974, stragi neofasciste realizzate con l’intento di destabilizzare il Paese e promuovere una svolta autoritaria, o almeno una stabilizzazione conservatrice, contro l’avanzata delle sinistre. Poi, l’escalation del terrorismo rosso, che voleva innescare la rivoluzione e tentò di accreditarsi anche come risposta allo “Stato delle stragi”, per conquistare le simpatie di giovani esasperati e disgustati. Perché i terroristi neofascisti godettero di appoggi e coperture dentro gli apparati di sicurezza, e le stragi restarono per lo più impunite, a causa dei depistaggi. Anche piazza Fontana. Quarantacinque anni dopo, dopo tre lunghi e tormentati processi (potete trovare tutte le sentenze e un riassunto dell’iter giudiziario nel sito fontitaliarepubblicana. it), forse la cosa più importante è rimettere insieme quanto sappiamo della strage di piazza Fontana. Perché sappiamo molto, e ne abbiamo le prove, a dispetto dei depistaggi.
Il massacro di piazza Fontana è ascrivibile a “Ordine Nuovo”, la più pericolosa organizzazione della destra eversiva, che nella sua parte clandestina aveva mezzi e intenti stragisti. Nel 2005, la Cassazione ha dichiarato accertata la responsabilità nell’organizzazione della strage dei terroristi neri Franco Freda e Giovanni Ventura, già condannati per numerosi attentati nella primavera-estate ‘69. Solo sul piano storico, però: già processati, erano stati assolti in via definitiva nel 1987. Resta provato il coinvolgimento dell’armiere di Ordine Nuovo, Carlo Digilio, collaboratore di giustizia dagli anni Novanta. Sappiamo che il Sid, il servizio segreto dell’epoca, ha depistato le indagini: tra tante assoluzioni resta la condanna passata in giudicato degli ufficiali Gianadelio Maletti e Antonio Labruna, per aver aiutato uno dei neofascisti indagati a fuggire all’estero.
«Ipotesi attendibile che deve formularsi indirizza indagini verso gruppi anarchici aut frange estremiste. Est già iniziata previe intese Autorità giudiziaria vigorosa azione at identificazione et arresto responsabili» scrisse in un telegramma il prefetto di Milano, Mazza, al presidente del Consiglio Rumor la sera stessa del 12 dicembre 1969. Sappiamo che la falsa pista anarchica che incriminò l’anarchico Valpreda (depistaggio di cui fu vittima innocente e ferocemente calunniata il ferroviere Giuseppe Pinelli), fu costruita ad arte e pervicacemente perseguita dai funzionari degli Uffici politici di Roma e Milano, e dell’Ufficio affari riservati del ministero dell’Interno, che svolsero le indagini a partire dal 12 dicembre 1969: con buona pace dell’articolo 109 della Costituzione, ufficiali di polizia giudiziaria a servizio dei desiderata dell’esecutivo più che della magistratura. Una catena di potere che riconduceva al ministro dell’Interno democristiano Franco Restivo. Sappiamo che funzionari come il questore di Milano Guida, il commissario capo Allegra, Russomanno e Catenacci dell’Uar, e altri, hanno nascosto ai magistrati elementi di prova: l’hanno scoperto e denunciato in una limpida requisitoria del 1974 i pm milanesi Fiasconaro e Alessandrini (assassinato nel 1979 dai terroristi rossi di Prima Linea), prima che il processo gli fosse scippato per spedirlo a Catanzaro, a mille chilometri di distanza dal giudice naturale.
Sappiamo che ci sono strani “buchi” laddove dovrebbero esserci documenti: per esempio, nell’archivio dell’Ufficio affari riservati ritrovato in un deposito sulla via Appia, a Roma, nel 1996, mancano documenti prodotti nei giorni in prossimità del 12 dicembre 1969. Sappiamo che ci sono ancora tanti posti dove andare a cercare: nell’archivio del ministero della Difesa, per esempio, potremmo trovare documenti e lettere che dovettero circolare freneticamente tra il giugno e il luglio del 1973, quando il giudice istruttore D’Ambrosio chiese se il giornalista di destra Giannettini, legato a Freda e Ventura, collaborasse col Sid, e gli fu opposto il segreto politico-militare. E aspettiamo che il ministero dell’Interno versi all’Archivio centrale dello Stato anche le carte dell’Ufficio affari riservati posteriori al 1965, e siano consultabili le carte degli uffici politici delle questure, i fascicoli dei funzionari che ci lavorarono. Ora che la Repubblica è un’anziana signora piena d’acciacchi, vicina ai settanta, sarebbe bello che, a prescindere dalle “direttive straordinarie” che si stanno rivelando di dubbia efficacia, la politica dei versamenti agli archivi divenisse più fluida e regolare.
Non sappiamo ancora tutto, è vero. Ma sappiamo moltissimo e non bisogna lasciare più che qualcuno s’azzardi a dire il contrario, come hanno fatto troppi epigoni della destra degli anni Settanta dopo essere andati al governo nel ‘94. Né dobbiamo scivolare nella fatale tentazione del cinismo, che si fa più forte ogni volta che si alza una nuova ondata di scandali: non potremo mai sapere la verità, l’hanno fatta franca, a che serve? È la solita Italia dei misteri, non vale la pena di provare a capire, ricordare, distinguere, rimettere in fila l’elenco, incompleto e lacunoso, delle responsabilità, e via dicendo. Arrendersi a questi pensieri sarebbe come diventare complici dei depistatori.
Se consideriamo quanto vasto e feroce è stato il dispiegamento di forze del Potere, nelle sue varie articolazioni, per mistificare il vero, creare falsi colpevoli, nascondere i responsabili, è quasi stupefacente quanto sappiamo, grazie all’impegno di molte donne e uomini di buona volontà che hanno continuato, ostinati, a indagare, spesso in solitudine, a dispetto delle minacce e degli ostacoli. Teniamocelo ben stretto. E continuiamo a lavorare perché si possa raccontare sempre più e sempre meglio cosa è accaduto, davvero, in questo Paese.