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“Il vero valore di un museo”. di Pier Luigi Sacco – Il Sole 24 Ore 05.04.15

Non ho ancora letto il saggio di Alessandro Monti, pertanto ne rilancio i commenti di Pier Luigi Sacco perché innescano una riflessione sulle istituzioni culturali, utile al legislatore e ai cittadini-fruitori. Manuela

ecco l’articolo:

Il vero valore di un museo
Pier Luigi Sacco

Un pamphlet analizza il MAXXI come se fosse un esercizio commerciale. Ne esce un’analisi fuorviante
Il sistema italiano dell’arte contemporanea non è stato certamente risparmiato dalla crisi economica che ha investito il nostro Paese. Un po’ tutte le principali istituzioni si sono trovate a fare i conti con bilanci in cura dimagrante, e soprattutto con una crescente difficoltà a mantenere la legittimazione sociale necessaria a richiedere con successo risorse pubbliche in una fase di forte contrazione delle politiche di bilancio a tutti i livelli dell’amministrazione statale e territoriale. In Italia, a fronte di un livello molto basso di partecipazione dei cittadini alle attività culturali, si tende facilmente a pensare che le spese in cultura siano più sacrificabili di altre, e che in ultima analisi i beneficiari di tale spesa siano, in omaggio ai cliché delle vacanze intelligenti di Sordi o dell’urlo liberatorio di Fantozzi contro la Corrazzata Cotionkin, soprattutto ricchi borghesi annoiati e ferocemente snob, il cui interesse per la cultura consiste unicamente nella sua valenza di strumento classista di distinzione sociale. Serve a poco ricordare invece la miriade di esperienze, anche italiane, nelle quali la cultura si rivela al contrario una straordinaria piattaforma di inclusione sociale, creazione di capacità e finanche di sviluppo di nuove forme di benessere. In questo momento, l’unico argomento che sembra in grado di attirare l’attenzione dei media e di scaldare i cuori è la capacità della cultura di attirare pubblico pagante, sulla base di un totale fraintendimento dei processi attraverso i quali le progettualità culturali sono in grado di generare in modo sostenibile valore economico e sociale. La valutazione degli impatti della cultura è un tema necessario, ma allo stesso tempo molto difficile, che richiede prima di tutto una profonda conoscenza non soltanto delle tecniche di valutazione appunto, ma anche del contesto che si intende valutare. Un minimo di esperienza nel campo mostra in modo fin troppo eloquente come tanti di questi esercizi di valutazione partano in realtà da premesse concettuali non appropriate per mancanza di una reale conoscenza sul campo, diretta ed approfondita, del fenomeno che si intende valutare.
In un breve quanto fortemente polemico pamphlet, Alessandro Monti pone l’attenzione su quello che considera un caso esemplare della mala amministrazione italiana in ambito culturale, il Museo MAXXI di Roma. La sua analisi solleva vari punti di interesse, ma allo stesso tempo rappresenta una illustrazione altrettanto esemplare della difficoltà di condurre un ragionamento su questi temi che non nasca da una lunga ed approfondita conoscenza sul campo del sistema dell’arte non soltanto italiano, ma europeo ed internazionale. In primo luogo, è piuttosto fuorviante valutare la struttura e il funzionamento di un sistema dell’arte contemporanea in termini di analisi della capacità dell’offerta per un dato livello di domanda come si potrebbe fare per un qualunque tipo di servizio commerciale. La domanda di arte contemporanea, così come quella di qualunque altro tipo di cultura, dipende fortemente dalla progressiva costruzione delle competenze che servono ad accedere con soddisfazione alle esperienze artistiche: in questo ambito, è tipicamente l’offerta a creare la propria domanda. Per cui, argomentare come fa Monti che il MAXXI è in realtà inutile all’interno del sistema dell’arte contemporanea italiana perché ci sono già troppi altri musei distribuiti sul territorio (ed elencati come in una specie di verbale dei Carabinieri con tanto di elenco degli artisti e titoli delle ultime mostre tenutesi) vuol dire non comprendere come l’articolazione territoriale di questo sistema sia la premessa per poter creare progressivamente un pubblico aperto e sensibile al contemporaneo, come dimostra ad esempio l’esperienza dei paesi di lingua tedesca e dei paesi nordici, le cui reti del contemporaneo sono distribuite molto più capillarmente che da noi, e nei quali l’interesse e la partecipazione delle comunità locali al contemporaneo è cresciuta nel tempo fino ad arrivare ai più alti livelli d’Europa.
Allo stesso modo, dispiace la semplificazione un po’ grossolana con cui Monti definisce l’attuale direttore artistico del MAXXI, Hou Hanru, ’critico d’arte cinese cinquantenne’, lamentandosi del provincialismo (sic) con cui si è scelto un professionista straniero a fronte di tante valide competenze italiane. A parte la confusione tra critico e curatore (come sarebbe più corretto definire Hanru), basterebbe passare in rassegna le posizioni omologhe a quella di Hanru nei maggiori musei del contemporaneo mondiali per rendersi conto che, a quanto pare, queste forme di provincialismo allignano ovunque (portando a volte anche alla nomina di direttori italiani), e che, anche qui attirando il biasimo dell’autore, tanti direttori di museo vengono da una solida esperienza di curatela di Biennali internazionali (la cui natura ’effimera’ suggerirebbe secondo Monti che non si tratti di esperienze adeguate alla direzione artistica di un museo). Allo stesso modo, pensare che il MAXXI faccia concorrenza alla Biennale di Venezia, come argomenta sempre Monti, invece che esserle complementare, o che il MAXXI sia pleonastico rispetto alla missione e alle funzioni della GNAMC significa ancora una volta non avere una chiara idea del ruolo di queste istituzioni nel sistema italiano (ed internazionale) del contemporaneo.
Questo non vuol dire, naturalmente, che una rete estesa del contemporaneo sia ipso facto garanzia di una crescente partecipazione dei cittadini, o che, nel caso del MAXXI e più in generale del sistema italiano, non ci siano problematiche anche serie di visione strategica e di sviluppo di adeguati modelli organizzativo-gestionali, nonché di uso efficace e trasparente delle risorse, tutti temi che Monti tocca nel suo pamphlet. E da questo punto di vista sarebbe importante un segnale di maggiore attenzione da parte del nostro Ministero, anche per ridare compattezza e resilienza ad una rete che per anni ha provato ad operare con una logica di sistema attraverso la funzione di coordinamento dell’AMACI, ma che in un momento come questo ha bisogno di un profondo ripensamento per affrontare sfide nuove. E soprattutto, per sciogliere il nodo decisivo: far capire e soprattutto sentire alla società civile italiana che, senza una solida cultura del contemporaneo, anche la nostra tanto decantata eredità culturale ci diventa estranea e acquista una valenza puramente e velleitariamente strumentale, tristemente riassunta dalla misera quanto oggi popolare metafora del «petrolio d’Italia».

Alessandro Monti, Il MAXXI ai raggi X. Indagine sulla gestione privata di un museo pubblico , Johan & Levi, Monza, pagg. 96, € 12,00

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