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Prodi: «La Tobin tax è un'idea giusta. Ma va applicata su scala planetaria», di Vittorio Carlini

Da un lato i mercati finanziari sono di fatto globalizzati; dall’altro gli strumenti per regolarli hanno ancora una dimensione locale, nazionale. E’ questa la contraddizione che ci ha portato alla crisi». Romano Prodi, raggiunto al telefono nella sua casa di Bologna, non fa troppi sconti. Il Professore non nasconde le sue preoccupazioni: il futuro, perlomeno nell’immediato, non è roseo. «Questa dicotomia – dice – non sarà risolta in tempi brevi. Non vedo uno slancio, uno scatto in avanti in favore di una regolamentazione a livello mondiale».
Il problema della finanza è una conseguenza del più ampio fenomeno della globalizzazione…
La globalizzazione, in generale, sta provocando il cambiamento della sovranità nazionale. I mercati finanziari sono una parte del discorso. Lo stato westfaliano, come noi lo conosciamo, è oggetto di profondi mutamenti: è perforato da continui vasi comunicanti, essenzialmente per una duplice causa.

Vale a dire?
In primis, c’è il forte aumento del peso di istituzioni sovranazionali, quali per esempio l’Unione europea. Poi ci sono strumenti non istituzionali, come appunto le Borse e i mercati finanziari. Questi ultimi, però, sono guidati da forze non regolate in maniera sufficiente. E qui sta il guaio: fino a quando non lo affrontiamo, assisteremo al succedersi di altre crisi, di altri periodi di difficoltà.

Eppure, almeno a livello di dichiarazioni, c’è chi continua a richiamare il tema della riforma sistemica…
Sì, ma manca la politica. Non vedo all’orizzonte un forte accordo per il cambiamento. Fino all’aprile dell’anno scorso, si spingeva per una regolamentazione di tipo globale. Pian piano, le ambizioni sono diminuite; si è preferito ripiegare su argomentazioni di carattere tecnico, sulla soluzione di singoli aspetti del problema. Per carità, proposte pur sempre importanti ma che non affrontano il “peccato originale”, non risolvono alla radice la contraddizione. Basta vedere quello che è successo per la Tobin tax.

Cosa intende dire?
In sé è una buona idea. Ma se non viene condivisa da tutti, se non c’è uno scatto in avanti della politica che la impone a livello planetario non ha senso. Può essere aggirata sempre e comunque, passando per qualche isola del Caimano.
Ma le regole sono veramente sufficienti a riportare nei giusti limiti un capitalismo finanziario che ha messo in atto la fuga in avanti?
Le regole sono tutto. Io parlo di accordi tra istituzioni, governi, organi che devono farle rispettare. La speculazione è forte quando la politica è debole. Se nel caso della Grecia avessimo avuto una politica con legami precisi, accordi precisi, strumenti precisi gli speculatori avrebbero preso una bastonata tale da ricordarsela per molto tempo.

Rimanendo sulla scala mondiale, molti auspicano una maggiore collaborazione tra Europa e Stati Uniti…
Su questi temi sarebbe utile arrivare ad una grande alleanza tra le due sponde dell’oceano Atlantico. Tuttavia, non credo che il governo di Washington sia in grado di prendere una simile iniziativa e le capitali europee non mi sembrano unite tra loro.

Perché pensa che il presidente Barack Obama non sia in grado di farsi promotore di un simile disegno?
Il mondo politico americano è diviso. Nel recente passato, soprattutto sul tema della finanza, ci sono state molte grida ma non grandi passaggi concreti. Non vedo un’idea che possa portare, per esempio, a dar vita ad una nuova Bretton Woods: cioè ad un grande accordo a livello mondiale. La conferenza, avviata nel 1944, avvenne in un momento in cui gli Stati Uniti potevano esercitare una forte leadership. Fu preparata da due anni di dicussioni. E poi, allora, il mondo era più piccolo: adesso bisogna coinvolgere molti più stati. Oggi come oggi solo il G20 potrebbe convocare, per il medio termine, un simile consesso. Tuttavia non vedo una spinta reale in tal senso. Non vorrei sembrare troppo pessimista, ma bisogna leggere la realtà con molta serietà.

Insomma, la politica non c’è. Per quale motivo?
Perché siamo in una fase ancora arretrata di cooperazione internazionale. Ci sono troppi players che vogliono giocare le loro carte. Gli stati nazionali hanno le loro prerogative, le loro regole cui non vogliono rinunciare. A ben vedere, non esiste un colpevole preciso. E’ la storia che va avanti: già nel passato abbiamo vissuto periodi di grande mutamento, e nel futuro ce ne saranno altri. Di certo, però, la soluzione non è tornare al protezionismo. I mercati dei beni e quelli finanziari devono restare aperti, collegati tra loro e permettere una vita economica dinamica. Chiuderli significherebbe solo peggiorare le cose: il mondo tornerebbe verso la miseria e la guerra.

Passando a un piano più limitato, quello dell’Unione europea, dopo lo scoppio della crisi greca abbiamo assistito ad accenni di maggiore integrazione: nell’ipotesi di riforma del patto di stabilità è ipotizzato, per esempio, che i bilanci statali possano sottostare a una valutazione ex ante del Consiglio europeo. Un passo che condivide?
Sì e mi auguro che, dopo la crisi, i provvedimenti adottati spingano ancora di più in questa direzione. La politica monetaria comune deve essere affiancata da una politica economica coordinata sui grandi temi. Altrimenti, la situazione non può più reggere a lungo.

Quest’impostazione, giocoforza, conduce alla limitazione della sovranità nazionale nella politica fiscale…
Credo che, sui grandi capitoli economici, sia un processo inevitabile. Poi, voglio essere chiaro. Se la domanda è: dev’esserci un sistema sanitario europeo? Bé, rispondo con forza di no. Il principio di sussidiarietà è una cosa seria e i servizi ospedalieri debbono rimanere vicino ai cittadini. Un discorso analogo può farsi, ad esempio, per lo stato sociale: seppure può immaginarsi un coordinamento tra gli stati, la sua organizzazione resta un tema di livello locale. E’ compito della politica individuare e definire cosa è nazionale e cosa sovranazionale.

In tal senso è stata fatta la proposta di un’agenzia di rating europea, un progetto sensato?
Si tratta di un problema serio. Già parecchi anni fa non avevo una grande considerazione di queste società: vedevo come davano i voti. E, poi, se il loro giudizio dev’essere considerato oggettivo perché pubblicarlo a mercati aperti? Senza dimenticare, inoltre, il tema del conflitto d’interessi. Ciò detto, non sono favorevole ad un’agenzia europea che non potrebbe limitarsi a valutare non solo il debito sovrano ma anche i bond aziendali.

Una soluzione potrebbe essere quella di rafforzare la Bce, attribuendogli un potere di valutazione sul merito di credito…
E’ un discorso serio. La Bce è indipendente e risponde, in definitiva, all’opininione pubblica europea. Il tema del rafforzamento degli organi comunitari è rilevante. Penso, per esempio, ad Eurostat: che senso ha poter verificare solamente la bottom line di un bilancio, quando non puoi analizzare se gli addendi da cui deriva sono falsi oppure no. Torniamo al tema della maggiore integrazione e coordinamento, sempre però su i grandi capitoli economici

Insomma… Lei è un glocal
Certo che sì. Da tutta una vita sono glocal; quando ero presidente della Commissione europea ho tenuto la mia famiglia e le mie radici ben salde a Bologna, la mia terra.

Il Sole 24 Ore 28.05.10