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"Scuola, a che serve protestare ancora?" di Mila Spicola

Al telefono con mia madre, maestra in pensione ormai da anni. “Te la sei presa con gli intellettuali perché non riesci a convincere i tuoi colleghi. Facile così. Dove sono i tuoi colleghi? Noi avremmo bloccato tutto: ai tempi di Luigi Berlinguer lo abbiamo fatto “. Glab, accenno la difesa. “Mamma, sono altri tempi, le persone sono ripiegate, disilluse, scettiche, non è facile, non trovano sponde o referenti reali e convincenti. Il 30 ottobre del 2008 abbiamo sì bloccato tutto con quale risultato? Eravamo tutti in piazza, a Palermo non si era mai vista tanta gente per strada, nemmeno dopo il ’92 al tempo della rivolta civica dopo le stragi. L’onda ha visto 500.000 persone in piazza. Da brivido”.

“E che sarà mai uno sciopero? Dovevate perseverare. Siete quasi tutte donne nella scuola: davvero non riuscite a fargli venire il nervoso a questi cialtroni? Siete così rassegnate, morte? Pronte a puntare l’indice contro qualcun altro?”. “Che vuoi che ti dica: forse è il tempo della non lotta, o forse è il caso di immaginarne altre, di forme di protesta. Vero è che tutto è spettacolo. Un tempo si diceva che tutto era vanità. Oggi lo è ancora. Bisognerebbe trovare un giusto testimonial…”. “Non dire stupidaggini: la verità è che non siete stati capaci, voi, docenti di oggi, di capire che bisognava unirsi e alzare un insopportabile concerto di fischi in modo da fargliele scoppiare le tempie. Basterebbe questo: un flash-mob nazionale. Una data e un orario stabilito e da Duino a Lampedusa, dentro le classi, fuori per strada, negli uffici, tutti nello stesso istante via con trombette e fischi a difesa della cultura nazionale”.

Sorrido…chissà… “Mamma, intanto gli studenti stanno occupando gli istituti superiori e anche molte Università”. “Ahimè per loro dopo Natale torneranno sui banchi come se nulla fosse accaduto, fanno bene certo, un po’ di sana ribellione ci sta bene, se poi discutono un po’ insieme male non gliene fa, ma in questi termini è un po’ inutile: inverno, primavera, estate, autunno, occupazioni. E’ nella natura delle cose, ma non cambia il corso dei fiumi. Intanto approvano anche la riforma dell’Università. Si potrebbe dire: le abbiamo inventate noi le Università e adesso siamo bravissimi a dare il voto a chi le distrugge, con una faccia tosta quasi da schiaffoni, per cosa poi? Per la promessa di qualche tassa possibile da evadere? Per qualche posto in più negli asili al posto dei bimbi immigrati? Per cosa? E’ un mistero”. “E allora? Allora che si fa? Che devo fare? Che dobbiamo fare più di quello che stiamo facendo?”.

“Deve consumarsi lentamente questo buio. Intanto tu torna a far leggere i libri. A dar loro parole. Fiumi di parole e di pensieri. Che leggano, senza sosta, falli persino schiattare di lettura e di punteggiatura. Virgole, punti, punti e virgola, punti esclamativi e, finalmente, punti interrogativi. Punti interrogativi. Qualche domanda seria, nel silenzio delle loro stanze, in fondo al residuo dell’anima inizieranno a farsela. Tutti. A quel punto, vedrai, la battaglia sarà vinta perché la protesta non sarà un ruscello, una stagione, ma la pelle che li copre. A quel punto vagliela a strappare…”.

L’Unità 26.11.10