attualità, politica italiana

"Il potere grottesco", di Giuseppe D'Avanzo

Gianni Letta e Giampiero Cantoni. Bisogna cominciare da qui, dalle fonti dell´ambasciatore degli Stati Uniti a Roma, dalla loro qualità, dai loro nomi. La strategia diversiva organizzata dagli uomini di Berlusconi nelle prime ore della “crisi WikiLeaks” è nota: l´ambasciata di via Veneto – ripetono ugole obbedienti – invia al Dipartimento di Stato niente di più e niente di meno che una miserabile “rassegna stampa” con un “copia e incolla” delle cronache dei giornali più ostili al Cavaliere.
Giornali come Repubblica, per capirci. Che volete che sia? Vi aspettate una bomba? Avrete un petardo bagnato!
Questa filastrocca è stata ripetuta a mo´ di giaculatoria in questi giorni e c´è ancora chi, come l´infelice avvocato Niccolò Ghedini, ha da ripeterlo in queste ore, per contratto e per passione. Si comprende la trama: il premier deve trasformare le rivelazioni dei cablogrammi diplomatici in fuffa; banalizzarne il significato; minimizzarne gli esiti politici interni; limitare i catastrofici effetti internazionali per la sua reputazione e per la credibilità dell´Italia.
Bene, in questo teatro di cartapesta irrompono ora i nomi delle fonti della diplomazia americana. Gianni Letta e Giampiero Cantoni non sono identità neutre dell´establishment berlusconiano. Letta è il braccio destro, l´alter ego di Silvio Berlusconi, l´effettivo capo del governo nei lunghi periodi in cui al Cavaliere viene a noia o non può affrontare la fatica del governare. Giampiero Cantoni è meno conosciuto ma, non per questo, meno rilevante. Amico di lunga data di Berlusconi, è stato presidente di Efibanca e della Banca nazionale del lavoro. Caduto nella polvere nella stagione di Mani Pulite (patteggia una condanna per corruzione e bancarotta fraudolenta), rinasce con Forza Italia. Oggi è il presidente della commissione Difesa del Senato. Sono Letta e Cantoni – e quindi fonti dirette, informate dei fatti, non ostili al capo di governo, anzi a lui devote – a spiegare all´ambasciatore David Thorne il declino di Silvio Berlusconi, i suoi incubi, l´angosciante decadenza fisica, le ragioni di un crepuscolo politico che lo abbandonano, prigioniero, a patologiche ossessioni: il sesso, il denaro, l´angoscia di vedersi sottratto il potere.
D´altronde, Letta e Cantoni non possono offrire all´ambasciatore il racconto vanaglorioso dell´ininterrotto rosario di successi del Cavaliere. Possono mica ripetergli che se le truppe di Mosca si sono fermate alle porte di Tbilisi scongiurando un conflitto Russia-Georgia, il merito è di Berlusconi che ha evitato l´inizio di una nuova Guerra Fredda. O ricordargli che se Barack Obama ha firmato a Mosca il trattato per la limitazione delle armi nucleari, il merito è di Berlusconi che ha favorito «l´avvicinamento» della Casa Bianca al Cremlino. O ancora, che se l´Alleanza atlantica è ancora vegeta, lo si deve al lavoro di persuasione di Berlusconi che ha convinto il leader turco Erdogan a dare il via libera alla candidatura di Rasmussen o ripetergli che se «l´Europa non resterà mai più al freddo», il merito è di Berlusconi che ha convinto Erdogan e Putin a stringersi la mano dinanzi al progetto del gasdotto South Stream. Queste sono bubbole pronte per il “mercato” nazionale.
Questo racconto fantasioso, standardizzato, senza incrinature è buono per l´Italia del Tg1 di Minzolini. Nelle conversazioni tra le “due personalità personalmente e professionalmente vicine a Berlusconi” e David Thorne si scorgono accenni di un sincera ansia per le sorti del Paese, una schietta preoccupazione per l´incapacità del capo del governo di far fronte alle sue responsabilità. O, per dirla in altro modo, la convinzione che la sua fragilità privata – e fisica e psicologica – gli impedisca con evidenza di far fronte al suo impegno pubblico. Non affiora nessun biasimo o denigrazione.
Soltanto l´inquietudine di chi deve prendere atto del declino di uomo che è stato una volta vigoroso, vitale e ammirato. È questo il messaggio che l´ambasciata di Roma invia allora a Washington: Berlusconi è un uomo debole, reso instabile dalla satiriasi: una sexual addiction che lo debilita fisicamente. È politicamente fragile, un intralcio anche per i suoi che se ne vogliono liberare presto e hanno già preso a pensare come farlo e quando e come. Tormentato da difficoltà finanziarie, guai giudiziari, scandali sessuali, egli non appare in grado di decidere, di fare il suo lavoro.
Appaiono lontani i tempi in cui Berlusconi era capace di giocare sempre la sua partita e sempre border line con grande spregiudicatezza, come racconta l´ambasciatore Ronald Spogli in un cable del 26 ottobre 2005. I sondaggi lo danno sotto di otto punti e il Cavaliere, preoccupato per la vicina campagna elettorale che lo opporrà a Prodi, chiede «specificamente» di poter incontrare George W. Bush a Washington e di parlare prima di una sessione congiunta del Congresso «per migliorare le sue prospettive, prima delle elezioni di aprile 2006». Spogli ricorda che Berlusconi “pianifica” il viaggio e butta giù una “lista della spesa”. Chiede una dichiarazione presidenziale a sostegno di valori condivisi; il supporto per estendere nel 2005 il mandato delle Nazioni Unite in Iraq; progressi concreti del piano per migliorare la sicurezza dell´Iraq e permettere una riduzione delle truppe italiane.
Il Berlusconi del 2009 è un altro. L´email inviata al Dipartimento di Stato a Washington ha una data, 27 ottobre, e un titolo chiarissimo: «Italia: gli scandali fanno pagare un prezzo sulla salute personale e politica di Berlusconi».
Il sottosegretario Gianni Letta, ricorda l´ambasciatore, dice il 23 ottobre che Berlusconi è «fisicamente e politicamente debole». Era normalmente iperattivo, oggi è «privo d´energia» e addirittura «depresso» dopo l´aggressione subita in piazza Duomo a Milano. Il giorno prima, il 22 ottobre, Giampiero Cantoni è stato più esplicito. «Siamo tutti preoccupati per la sua salute» dice a un funzionario dell´ambasciata e osserva che Berlusconi è svenuto tre volte in pubblico e che «i suoi test medici sono risultati un gran pasticcio».
«Cantoni – si legge nel dispaccio – ha detto che le frequenti nottate di Berlusconi e la tendenza per feste scatenate non gli concedono riposo a sufficienza». Sveglio di notte e insonnolito di giorno. L´ambasciata lo conferma al Dipartimento di Stato con qualche ricordo diretto: «Berlusconi si è addormentato brevemente durante una visita di cortesia dell´ambasciatore a settembre, ed è apparso distratto e stanco in un evento del 19 ottobre cui ha partecipato l´ambasciatore».
Ancora Cantoni garantisce come «Berlusconi sia dominato da preoccupazioni private. Osserva che si è sentito allontanato dalla sua famiglia da quando sua moglie Veronica Lario ha provocato uno scandalo pubblicando una lettera aperta e chiedendo il divorzio e accusando il premier settantaquattrenne di frequentare minorenni». Teme che la Lario possa dimezzare le sue ricchezze con il divorzio: «A quel che si dice, (lei) chiede il 50 per cento del patrimonio personale di Berlusconi più 100 milioni di pensione annuale».
Soldi e timori. Ancora soldi, ancora timori. La vita di Berlusconi pare oscillare come un pendolo tra l´incubo maniacale di vedere assottigliare il proprio tesoro e il proprio potere e il panico di chi, in forma paranoica, si sente assediato da mondo. Non è soltanto la moglie a dargli fastidi finanziari. Secondo Cantoni, «Berlusconi teme che sarà necessario liquidare importanti “attivi” dei suoi affari per affrontare la multa di 750 milioni di euro ordinata dal tribunale civile», scrive l´ambasciata e intende la sanzione inflitta alla Fininvest come indennizzo dei danni causati alla Cir di Carlo De Benedetti con la corruzione del giudice che ha deciso la controversia Mondadori.
Sorpreso a festeggiare Noemi Letizia, il premier non pensa di aver deciso una mossa inopportuna. Non crede di dover dare ordine alla sua vita e decenza alle sue frequentazioni. Immagina un intrigo. Cantoni confida: «Il premier pensa che i servizi di intelligence italiani gli abbiano teso una trappola». La Corte Costituzionale boccia la legge che dovrebbe immunizzarlo (il “lodo Alfano”) e il premier – racconta Gianni Letta – ha “uno scoppio d´ira”. Accusa «il presidente della Repubblica di lavorare contro di lui e reagisce in modo emotivo contro il sistema giudiziario in generale». Ancora un complotto, insomma. Gianni Letta riferisce che «lo scoppio d´ira di Silvio Berlusconi provoca relazioni gelide con il capo dello Stato, Giorgio Napolitano: un episodio che fa apparire debole», il capo del governo.
Il premier vede macchinazioni in ogni passaggio. Dimentica quanto gli sia abituale cedere alla tentazione dell´intrigo. Con Piero Marrazzo gioca come il gatto con il topo, si scopre.
Il funzionario americano ricorda e scrive nel cablogramma che, mentre conversa con Cantoni, questi riceve una telefonata di Berlusconi che «lo informa dell´imminente arresto di quattro carabinieri sospettati di aver incastrato con un ricatto sessuale il governatore regionale del Lazio». Il caso, osserva l´ambasciatore nella nota, «venne alla luce sulla stampa qualche giorno dopo». I furfanti furono arrestati il 21 ottobre, quanti giorni prima Berlusconi ha saputo dell´arresto dei ricattatori? E da chi, dai carabinieri del Ros o in linea diretta dalla Procura di Roma? E perché imbroglia Marrazzo fino al giorno dell´arresto dei quattro furfanti invitandolo a comprarselo in fretta, il video del ricatto, magari rivolgendosi «a Giampaolo Angelucci, che ti libererà dai guai»?
I cablogrammi diplomatici sono un affresco e il disegno che si scorge squalifica l´uomo che ha preteso di stringere una maiestas, un di più di potere rispetto a qualsiasi altro potere. Nella sua persona, nelle sue angosce shakespeariane, nella sua realtà fisica, nei suoi gesti, nel suo corpo, nelle sue trame, nelle sue fantasie, nella sua sessualità, nel suo modo di essere, appare un personaggio grottesco, mai preoccupato del bene comune, sempre del suo personale bene, sempre di se stesso, del suo denaro, della sua fortuna, del suo potere. Mai che nelle carte finora svelate ci sia l´iniziativa, la parola, la vita di un uomo di Stato.

La Repubblica 03.12.10