scuola | formazione

I sindacati: Scuole come caserme, arrivano le prime sanzioni ai prof", di Salvo Intravaia

Con i nuovi regolamenti di Brunetta qualsiasi atto venga considerato dai presidi una “insubordinazione” può essere direttamente sanzionato. “Persino in epoca fascista c’era un organismo di tutela”. Tra i primi casi anche la punizione di un disabile. Tempi duri per gli insegnanti “riottosi”. Da qualche mese, per prendere una sanzione disciplinare da parte del capo d’istituto basta davvero poco. L’ultimo caso, denunciato dalla Gilda degli insegnanti sembra assurdo. “Nelle scuole – dichiara il coordinatore nazionale, Rino Di Meglio – si respira un clima da caserma. Qualsiasi opposizione al dirigente scolastico può essere considerata come mancanza di rispetto e venire quindi sanzionata. Secondo la riforma Brunetta – continua – i docenti dovrebbero ubbidire e basta, anche perché contro le sanzioni disciplinari occorre rivolgersi al giudice del lavoro”.

Fino a pochi mesi fa erano i Consigli di disciplina provinciali o nazionali a stabilire le sanzioni nei confronti degli insegnanti. “Perfino la riforma Gentile, in piena epoca fascista, prevedeva un organismo disciplinare collegiale per tutelare la libertà di insegnamento”, aggiunge il sindacalista. Secondo la Gilda, una insegnante in servizio in regione meridionale “è stata punita dalla dirigente scolastica” con tre giorni di sospensione dal servizio e dalla retribuzione per “aver trasformato in una barchetta di carta il foglio con cui le era stato notificato un ordine di servizio che la docente aveva già eseguito”.

A mettere al corrente la preside del grave atto di insubordinazione perpetrato dalla prof nei suoi confronti sarebbe stato il bidello. E la preside, accertatasi che l’insegnante si era effettivamente comportata
in quella maniera, non si è fatta scappare l’occasione di dare una lezione alla prof irriverente. Ma quello denunciato oggi non è l’unico caso degli ultimi mesi. In provincia di Cagliari un docente disabile è stato sottoposto a procedimento disciplinare dal preside della sua scuola perché avrebbe mancato di rispetto al suo superiore e costretto a difendersi durante la malattia.

“Il caso di questa collega – commenta Di Meglio – è soltanto una delle situazioni aberranti che si stanno verificando dopo che la riforma Brunetta ha attribuito ai dirigenti scolastici uno spropositato potere disciplinare non bilanciato da adeguati organi di controllo. Quanto accaduto a questa insegnante – conclude Di Meglio – dimostra la necessità di introdurre meccanismi che limitino i poteri eccessivi assegnati ai dirigenti e tutelino il lavoro dei docenti”.

Ad inasprire le sanzioni nei confronti del corpo docente è stato il decreto legislativo 150 del 2009, conosciuto anche come decreto Brunetta, che ha modificato la normativa sul procedimento disciplinare nei confronti di tutto il personale scolastico. Lo scorso 8 novembre, sul sito del ministero dell’Istruzione è stata pubblicata la circolare sulle “Indicazioni e istruzioni per l’applicazione al personale della scuola delle nuove norme in materia disciplinare introdotte dal decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150”.

Le sanzioni, al momento, restano quelle previste dal Testo unico sull’istruzione. Ma il potere di irrogarle passa ora nelle mani del dirigente scolastico. Tra le novità introdotte dalla circolare “la pubblicazione nel sito istituzionale dell’amministrazione del codice disciplinare” che “equivale a tutti gli effetti alla sua affissione all’ingresso della sede di lavoro”. Dopo la “contestazione di addebito” e “lo svolgimento del procedimento”, il capo d’istituto prende una decisione che il lavoratore può appellare soltanto davanti al giudice. Finora le cose sono andate in maniera diversa. Il preside poteva infliggere soltanto “l’avvertimento scritto”. Tutti gli altri provvedimenti (censura, sospensione dal servizio e destituzione) venivano irrogate dal Consiglio di disciplina provinciale, (per gli insegnanti della scuola dell’infanzia, primaria e media) o da quello nazionale per i prof del superiore.

La Repubblica 05.12.10