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"Pronto il nuovo testo sul federalismo municipale. Ai comuni l'Iva sui consumi", di Eugenio Bruno

Nella “fabbrica di San Pietro” del federalismo i lavori non si fermano mai. Nel decreto attuativo sul fisco municipale – che il governo ha inviato alle Camere insieme alle osservazioni sul 15 a 15 registrato in bicamerale il 3 febbraio scorso – è apparsa la precisazione che l’Iva da distribuire ai comuni sarà legata ai consumi. Il perché lo spiegherà il ministro Roberto Calderoli sia martedì e mercoledì prossimo a Palazzo Madama, sia a inizio marzo a Montecitorio.

Il dibattito parlamentare sul fisco comunale inizierà a marzo. Ma con o senza voto fiducia? «Si vedrà», si è limitato a rispondere il responsabile della Semplificazione. Tutto ciò mentre in bicamerale è ufficialmente partito l’esame del provvedimento su tributi regionali e costi standard sanitari.Il calendario del dibattito parlamentare è stato fissato dalle rispettive conferenze dei capigruppo. Anche se per la discussione davanti ai deputati una data precisa ancora non c’è. Ieri i presidenti dei gruppi si sono limitati a prendere atto che per tutta la prossima settimana l’assemblea sarà impegnata sulla conversione del dl milleproroghe e che dunque il dibattito parlamentare sul fisco comunale non potrà iniziare prima del mese entrante. In entrambi gli appuntamenti Calderoli sarà accompagnato dal suo collega delle Riforme Umberto Bossi. I due illustreranno le modifiche al testo introdotte in commissione e i motivi che hanno spinto l’esecutivo ad andare avanti nonostante il pareggio di 15 giorni fa.

Il dlgs spedito alle Camere ricalca quello messo a punto in bicamerale dal relatore Enrico La Loggia (Pdl). Fatto salvo il chiarimento inserito all’articolo 2 che la compartecipazione all’Iva attribuita ai comuni sarà determinata sì da un successivo decreto del presidente del consiglio (dpcm) ma «assumendo a riferimento il territorio su cui è determinato il consumo che ha dato luogo al prelievo». In sostanza, i dati utilizzabili saranno quelli desunti dal quadro Vt delle dichiarazioni e non quelli di contabilità nazionale elaborati dall’Istat. Con l’ambizione implicita di arrivare a segmentare i flussi dell’Iva dichiarata su base provinciale (se non addirittura comunale) anziché regionale come avviene oggi.

Insieme all’articolato sono state depositate anche le osservazioni da esporre in aula. Ricordando, ad esempio, che il testo ha ricevuto in commissione «un’ampia serie di modificazioni» a seguito di un «largo, approfondito ed aperto dibattito parlamentare». Una decina per andare incontro alle richieste dell’opposizione e almeno altrettante per accogliere i rilievi dei sindaci. Di più, ha messo nero su bianco l’esecutivo, non è stato possibile fare. Ed è difficile che possa essere fatto durante il dibattito parlamentare che precederà il ritorno del testo a Palazzo Chigi per l’approvazione definitiva.

Calendario alla mano, il destino del fisco comunale si intreccerà con quello regionale, che la bicamerale ha cominciato a esaminare di fatto ieri e che dovrà ottenere l’ok entro l’11 marzo. Dopo la precisazione di La Loggia sulla legittimità della composizione attuale della commissione – «per ora» ha precisato l’esponente del Pdl lasciando intendere che in cuor suo la maggioranza non ha perso tutte le speranze di superare il 15 a 15) – a San Macuto si sono tenute le audizioni di ragioneria generale dello stato (Rgs) e ministero della Salute. Due i filoni approfonditi: costi standard sanitari (su cui si veda l’articolo qui sotto) e futuro assetto tributario di regioni e province.

Oltre alla quantificazione dei trasferimenti da cancellare (1,7 miliardi dallo stato alle regioni e 2,7 da queste sia ai comuni che alle province) gli spunti più interessanti hanno riguardato la vexata quaestio dell’applicazione o meno alle regioni speciali. Il provvedimento lo esclude esplicitamente ma «un vero federalismo fiscale – ha affermato l’ispettore generale capo per la finanza nelle Pa della Rgs, Salvatore Bilardo – non può prescindere da valutazioni che riguardino tutto il territorio nazionale e dalla necessità di evitare che si proceda con analisi e percorsi parcellizzati e diversificati nel tempo e nei territori». Un rilievo che non è piaciuto a La Loggia. «Avrei preferito – ha detto l’ex ministro degli Affari regionali – un approccio più tecnico, ho notato dei rilievi politici che preferirei ascoltare dal ministro dell’economia e non dalla ragioneria dello stato».

Il Sole 24 Ore 17.02.11