attualità, cultura

"Web e ironia la sinistra che ride", di Filippo Ceccarelli

Dopo essersi prodotto, al culmine del suo più eroico e pedagogico buonumore, nel consueto numero del bunga bunga il presidente Berlusconi si è congedato dai giornalisti raccomandandogli: «Ricordatevi di non prendere mai sul serio chi si prende troppo sul serio. L´autoironia è sempre fondamentale».
Giusto. E per tanti anni in effetti il paradigma culturale del Cavaliere si è comodamente incardinato sulla certezza di avere a che fare con degli avversari, anzi con dei nemici rabbiosi e musoni. La sinistra dell´invidia e dell´odio, appunto. Bene, più o meno mentre Berlusconi si sforzava di fare lo spiritoso adattando il Parnaso alle olgettine, il leader del Pd Bersani iniziava la sua conferenza stampa sul voto referendario con le seguenti parole: «Scusatemi, ma stavolta non ce la faccio a non ridere, per quanto ce la metta tutta».
Colpisce quell´avverbio: stavolta. Sempre a proposito di autoironia, non più di due settimane fa Bersani aveva accettato di affrontare uno sketch in duplex con il comico Crozza che per nove minuti, un tempo televisamente eterno, vestito, truccato e pelato come lui, lo ha sfidato a una gara di metafore in «bersanese» stretto: «Ohè, ragassi, siam mica qui a far la permanente ai cocker!».
Ora, se uno digita «Crozza e Bersani» sul motore di ricerca di YouTube ottiene centinaia e centinaia di video, ciascuno dei quali indica anche il numero di persone che l´hanno visto – e si arriva a diversi milioni di spettatori. Ma se si estende la ricerca a tutto quanto è stato auto-prodotto prima delle ultime elezioni e ancora oggi viene incessantemente caricato e scaricato in rete a proposito della vittoria referendaria, si resta sommersi da un torrente di visioni a base di parodie, manipolazioni, sberleffi, oltraggi, tormentoni debitamente musicati, doppiati e/o sottotitolati.
È una nebulosa, in realtà, uno sciame, un brulichio ri-creativo e non di rado pure abbastanza selvaggio che senza alcun complesso nei confronti di quelli che nell´ipocrita retorica dei talk-show vengono invocati come «i veri problemi del paese», mettono in scena Totti che fa il gestaccio, Frankestein che urla, Albertone Sordi vestito da prete, «L´aereo più pazzo del mondo» corretto nel volo da Antigua a Roma, ma anche la vecchietta comunista che prima di morire vuole «sputà ‘n faccia a Berlusconi» o quel terribile coretto di bimbi tipo Zecchino d´oro che invitano il Cavaliere a «far la cacca in una mano e poi darsi uno schiaffo» e proseguono in crescendo, con le loro vocine: «Faccia di merda! Faccia di merda! Sei un buffone, faccia di merda!». Allegri corpi e fantasmi contundenti ad alto tasso di emotività scagliati contro l´ordine, il modello di potere, ma anche contro lo strumento tecnologico fino a ieri dominante.
Tanto più incogniti i creativi, quanto più appassionati gli spettatori che ormai a milioni consumano gratuitamente questi prodotti, li segnalano nelle chat, se li spediscono come virus per mail, li ospitano nelle pagine di Twitter o Facebook. E di colpo, al cospetto di tale imprevedibile effervescenza, mette malinconia la barzellettina del Cavaliere, suona desolante come un disco rotto il suo preteso machismo, lascia sgomenti il video imposto ai tg, quel viso terreo, quella pesante tenda gialla che s´immagina polverosa. O forse è solo colpa della tv che in cinquant´anni ha portato all´estremo limite la democrazia rappresentativa, ma poi ha finito per corromperla con i suoi spettacoli, i suoi controlli serrati, i suoi terribili costi; e allora i nuovi media, più che travolgerla, l´hanno presa alle spalle e sostituita.
«Tutto il conservatorismo del mondo non può opporre nemmeno una resistenza simbolica all´assalto ecologico dei nuovi media elettronici» ha profetizzato McLuhan. L´improvviso invecchiamento della tv e quindi anche la manifesta obsolescenza del berlusconismo, va ben al di là delle performance di Bersani e del successo che in rete suscitano le prediche di Celentano, gli spettacoli di Benigni, il video paradossale «Il mondo di Pisapie», i finti spot di Corrado Guzzanti, la formidabile produzione musicale della Sora Cesira e di tutti quelli che in cambio di nulla offrono divertimento, piacere, atmosfere oniriche.
Dai post-it contro il bavaglio alla manifestazione delle donne, dalla campagna di Milano a quella dei referendum, gli eventi di questo 2011 lasciano intravedere per la prima volta una trasfigurazione espressiva della politica che magari anticipa quella dei contenuti; ma intanto continua a rivelarsi, questo mutamento, in tempo reale sulle nuove piattaforme digitali quando costruisce forme di comunità, fa vibrare all´unisono milioni di individui, produce nuovi linguaggi, consente inedite connessioni, incoraggia dinamiche di scambio, di condivisione e al dunque fa pure vincere le elezioni.
Se tutto questo sa di arida sociologia, si chiede scusa. Ma nel frattempo, meno fa ridere il bunga bunga e più il presidente Berlusconi rischia di essere davvero sepolto, oltre che dai voti, dalla più evoluta e tecnologica risata.

La Repubblica 14.06.11

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“E’ il terzo segnale” La voglia di partecipare ora è un’onda lunga, di Fabio Martini

Il sociologo De Masi: dalle primarie in poi i cittadini “del web” battono i conservatori. Professore Domenico De Masi insegna Sociologia del Lavoro alla Sapienza Ha inventato il concetto dell’«ozio creativo» e studiato l’impatto del telelavoro
Un, due e tre: tra Primarie, amministrative e referendum è come se da qualche mese gli italiani si fossero ripresi la voce e non si stancassero più di farsi sentire. In queste ore fa notizia la percentuale del 57% di affluenza ai referendum, ma c’è un rosario di numeri che – messi uno dietro l’altro – diventano ancora più eloquenti. Sono stati ventotto milioni e mezzo gli italiani che sono andati a votare per i referendum (equivalenti all’intero elettorato di centrosinistra alle Politiche 2008 più il 60% di quello di centrodestra), ma tantissimi avevano già partecipato al primo turno delle elezioni comunali di metà maggio e in qualche caso – a Milano per esempio – ai ballottaggi, anziché il consueto, drastico calo di partecipazione, si era registrata una presenza stabile. E, ancora prima, le Primarie del centrosinistra per la scelta dei candidati sindaco, avevano fatto registrare ovunque partecipazioni record, anche in città «fredde» come Torino.
Sono numeri in sequenza che propongono domande diverse da quelle che queste ore agitano le opposte fazioni politiche, impegnate a leggere il risultato secondo le proprie convenienze. C’è soltanto anti-berlusconismo, o l’impennata della partecipazione ai referendum segnala qualcosa di più profondo nella «pancia» del Paese? C’è un filo rosso che unisce Primarie di coalizioni, le elezioni amministrative e i referendum? Dopo tanto parlare di Internet, non sarà che stavolta la rete ha fatto boom? Il professor Domenico De Masi, sociologo sempre attento a quel che si muove nel mondo, non ha dubbi: «Attenzione, siamo davanti ad elezioni spartiacque, perché per la prima volta, davvero la prima volta, è stato determinante in Italia il ciclone Internet, che era stato decisivo per Obama e che sta iniziando a trasformare anche da noi la tv in un catorcio medievale. E poi sta arrivando la generazione dei digitali, che sono ottimisti, non hanno paura dei gay o degli islamici e che rendono sempre più marginali gli “elettori-digitali”, paurosi di tutto».
Certo, è essenziale capire se nell’universo della comunicazione sia iniziata per davvero una rivoluzione, ma intanto un primo effetto è un ritorno della partecipazione, un evento che rallegra Arturo Parisi, promotore dietro le quinte dei referendum Segni che terremotarono la Prima Repubblica e portarono al bipolarismo: «Primarie, elezione diretta dei sindaci e referendum sono sulla stessa traiettoria: c’è di nuovo una stagione di partecipazione diretta, la rivendicazione della gente di poter partecipare alla decisioni con efficacia immediata. Si sta chiudendo un ciclo ma come dimostrano i referendum epocali, anche stavolta non è detto che si apra una fase coerente col risultato della consultazione: dopo il referendum sul divorzio non ci fu un’alleanza laica vincente ma quella Dc-Pci e dopo i referendum 1991-93 arrivò Berlusconi. I processi bisogna saperli guidare: il premier deve fare i conti con un consenso che non c’è più, i suoi oppositori con un consenso che non è ancora venuto».
Ma la voglia di partecipazione è una vera novità anche per il sondaggista Luigi Crespi, che a suo tempo ha lavorato per Berlusconi: «Nell’ultimo mese gli italiani sono andati a votare per tre volte in massa. Sta arrivando anche da noi un movimento molto ampio di dissenso nei confronti di tutti i governi europei, dalla Germania alla Francia, dalla Grecia alla Spagna sino alla Gran Bretagna. Con una specificità italiana: Berlusconi ha chiuso il suo ciclo. Il centrodestra non è detto, ma dovrà riarticolare la sua offerta».
E naturalmente nell’affluenza di nuovo sopra il 50% ha giocato un effetto-Berlusconi, che il professor Alessandro Campi, intellettuale disorganico di centrodestra spiega così: «L’elettorato si sta in parte prendendo spazi di libertà e autonomia al di là delle appartenenze, ma due dati stupiscono: l’incapacità del grande semplificatore Berlusconi di cavalcare la democrazia dei quesiti elementari – sì o no – e la rinuncia del centrodestra a difendere le proprie scelte su questioni, come l’acqua, sulle quali si giocava la sua storia. Rifugiarsi, come hanno fatto in tanti, nella libertà di voto, che si dovrebbe riservare alle questioni di coscienza, dimostra una debolezza culturale e politica che poi si paga».

La Stampa 14.06.11